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L'Italia è aperta a tutti Entra addirittura l'armiere di Gheddafi

Era arrivato con un barcone un anno fa ad Augusta Ingegnere siriano, aveva il curriculum in una pennetta

«In Italia entra chi vuole». Le forze dell'ordine si arrendono ammettendo che la situazione è ingestibile. «La gran parte degli immigrati che arriva in Italia in genere viaggia senza documenti. I migranti, una volta messo piede in suolo italiano, hanno una nuova identità. È il sistema stesso a garantirlo. In pratica, la traversata sui barconi della speranza funge da lasciapassare».

Alcuni uomini delle forze dell'ordine - che per ovvie ragioni preferiscono mantenere l'anonimato - sottolineano come i controlli ci sono, ma, a conti fatti, «potrebbe arrivare chiunque, anche un terrorista, nessuno se ne accorgerebbe a meno che non sia già schedato nell'Afis, il Sistema automatizzato di identificazione delle impronte, che permette di identificare immigrati schedati per qualche reato».

I migranti che non hanno con sé documenti e non hanno precedenti di cui in Italia siamo al corrente avranno una nuova identità. «Basta che ci forniscano le generalità che ritengono - denunciano alcuni poliziotti - e così sarà sui loro documenti».

Le forze dell'ordine tengono a sottolineare come i controlli sono effettuati senza risparmio di energie «ma è il sistema che non ci consente di avere certezze», ammettono. Tra i tanti arrivati su cui non si fa trapelare notizia, c'è uno degli armieri di Gheddafi. È arrivato circa un anno fa ad Augusta (Siracusa), insieme con un gruppo di immigrati. A individuarlo sono stati i carabinieri della Compagnia di Augusta. È un ingegnere siriano con doppia cittadinanza libica e siriana. Si occupava di progettare l'innesto di armi sui mezzi in dotazione alle forze di Gheddafi e di missili. Era in possesso di una pendrive con archiviati parecchi documenti. C'erano fotografie e progetti dei suoi lavori, foto di Gheddafi dopo l'uccisione, documenti attestanti il suo stato di servizio e il diploma di laurea in Ingegneria.

Insomma, una sorta di curriculum vitae, forse per iniziare un nuovo cammino. È solo un'ipotesi, visto che sull'episodio c'è il massimo riserbo da parte delle autorità preposte che stanno indagando. Missili e armi di Gheddafi sarebbero già finiti in mano agli jihadisti che oltre ai combattenti, hanno chiesto di unirsi alla causa a medici, ingegneri e professionisti in genere. I soldi non mancano di certo, perché in parte vengono dal traffico degli esseri umani verso le coste italiane, che rappresenta un flusso economico non indifferente e sempre costante.

Non è passato molto da un altro episodio eclatante. Quello dell'arrivo a Lampedusa di un libico in possesso di fotografie dell'orrore archiviate su un tablet. Scatti che lo ritraevano in tenuta miliziana con gente decapitata ai piedi e una fotografia lo immortalava con una testa mozzata in mano. È sbarcato nell'isola il 9 giugno e poi è stato trasferito su terraferma in una delle strutture di accoglienza sparse per lo Stivale, al fine di garantire posti liberi per i nuovi arrivati a Lampedusa. E ora non si sa dov'è.

È chiaro, dunque, come - controlli a parte - sembri

esserci una «falla» nel sistema, garantita dalla cieca politica dell'accoglienza a tutti i costi. Ora, in un Paese «normale» se c'è un problema si cerca di porvi rimedio. E il punto è proprio questo: siamo un Paese normale?

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