
Alla fine hanno vinto le colombe, l'Italia non dovrà subire l'umiliazione di un ultimatum e quindi una scadenza ancora più ravvicinata per la manovra. Tempo fino ad aprile per correggere i conti di 3,4 miliardi di euro. La mano dei «falchi» della Commissione europea, nel giorno della pubblicazione delle previsioni di primavera, ieri emergeva soprattutto da quella mappa sulla crescita del Vecchio continente alle spalle del commissario Pierre Moscovici, dove l'Italia spiccava tra tutti grazie a un colore viola, che sta a rappresentare la peggiore performance del Pil nell'Area euro e nell'Unione europea. Inferiore anche a quella dei paesi passati per la cura della Troika, compresa la Grecia.
Niente di nuovo nelle cifre, le previsioni di autunno sono confermate. Ma l'Italia è l'unico paese dell'Europa con lo zero davanti alla crescita del Pil. Confermato lo 0,9%, contro l'1,6% della Germania, l'1,4% della Francia e, appunto, il 2,7% della Grecia.
La spiegazione dell'esecutivo Ue è che «l'incertezza politica e il lento aggiustamento del settore bancario pongono dei rischi al ribasso per le prospettive» dell'Italia. Una minima speranza con una «spinta più forte» che «potrebbe arrivare dalla domanda esterna». Potremmo risentire in positivo della crescita degli altri quindi.
Perché sulla competitività del Paese la delusione di Bruxelles è un dato acquisito. Rimaniamo appesi al giudizio sui conti pubblici che - se prevarranno i tecnicismi che a Bruxelles contano molto oppure i falchi - potrebbe essere molto più salato del previsto. Per ora il francese Pierre Moscovici concede tempo a Pier Carlo Padoan, che resta il principale punto di riferimento dell'Europa in Italia.
La Commissione europea «prende nota» in modo «positivo» dell'impegno assunto pubblicamente dal governo italiano di «adottare misure di bilancio aggiuntive pari complessivamente allo 0,2% del Pil entro aprile 2017». Parole dettate dallo stesso Moscovici, che ha poi direttamente smentito le voci su un ultimatum: «Noi naturalmente incoraggiamo il governo ad adottare queste misure al più presto, ma è assolutamente sbagliato parlare di un ultimatum. Stiamo discutendo in un clima molto costruttivo con il governo e in particolare con il ministro Padoan».
Il 22 febbraio dovrebbe arrivare come previsto il rapporto sul debito e anche su questa scadenza il commissario agli affari Economici si è mostrato disponibile. «La Commissione - ha assicurato - guarderà a tutti i fattori pertinenti che potrebbero spiegare perché a prima vista l'Italia non è stata in conformità con la regola del debito nel 2015. Il lavoro è in corso».
Valutazioni non condivise da tutti. Non nel Consiglio europeo, quindi tra gli stati membri, ma nemmeno nel governo europeo guidato da Jean-Claude Juncker. Tra i rigoristi iniziano a farsi sentire le voci di chi fa notare che la correzione chiesta all'Italia non è sufficiente, che servirebbe una riduzione del deficit dell'1%.
Il giudizio sul Paese è negativo. La nostra crescita è «stabile e modesta», a causa delle «debolezze strutturali ostacolano una ripresa più forte». Quella che c'è sembra «sostenuta dai bassi tassi di interesse». Condizione che potrebbe cambiare, con effetti sull'economia reale e anche sui conti pubblici. Tra le previsioni della Commissione, ieri spiccava poi una revisione al rialzo dell'inflazione dell'Eurozona e anche dell'Italia, rispettivamente all'1,7 e 1,4% nel 2017. Una carta in più per chi, in primo luogo la Germania, vuole un cambiamento di rotta alla Banca centrale europea di Mario Draghi. Un colpo al quantitative easing che per noi non potrà che significare interessi sul debito più alti e quindi un maggiore deficit.
Una sfida difficilissima per il governo Gentiloni e per Padoan, che è ancora alle prese con la
correzione tutto sommato modesta dello 0,2%. Dopo la direzione Pd di ieri, si allontana sempre più l'aumento delle accise. Il segretario Pd Matteo Renzi non lo vuole e il ministro cerca altre strade, gradite all'ex premier.