«Mai paura». Da sempre, le telecronache dell'Italia del rugby cominciano così. Oggi all'Olimpico, per la sfida con gli All Blacks neozelandesi, ci saranno anche duemilatrecento agenti e dipendenti di Cattolica Assicurazioni, con in testa l'ad Alberto Minali, per celebrare la sponsorship tra la compagnia e la Nazionale.
Mai paura. Ma nell'Italia di oggi, rugbisti a parte, di paura ne circola parecchia.
«Io - risponde Minali - non penso che siamo un paese impaurito. Ma preoccupato, questo sì. Giro l'Italia, chiacchiero con la gente. E la sento preoccupata per l'andamento dell'economia e soprattutto per il lavoro. Sono preoccupati i giovani, e ancora di più lo sono i genitori che si domandano quale futuro potranno avere i loro figli».
La bocciatura della manovra da parte dell'Europa è un dramma?
«Non avremo investimenti in ricerca per dodici miliardi, dovremo destinare risorse pubbliche a ridurre il debito. Siamo voluti uscire dalla austerità di Monti grazie al disegno di alcuni politici e torniamo alla stessa austerità. Intanto cerchiamo nemici ovunque, in Europa o altrove, e questo non ci porterà a grandi risultati: perché si può essere forti insieme ad alcuni, non si può essere forti contro tutti. E poi nella manovra economica ci son numeri non credibili. Si parla di crescita per ridurre il debito ma non credo che il reddito di cittadinanza o la pace fiscale siano misure di crescita».
L'Italia del rugby sta salendo nella considerazione internazionale. E l'Italia dell'economia?
«Sì stiamo crescendo. Sabato scorso abbiamo giocato senza timori reverenziali contro l'Australia, oggi affrontiamo la squadra più forte del mondo con lo stesso atteggiamento. Sì, stanno imparando a rispettarci perché sanno che stiamo lavorando bene».
E i mercati finanziari?
«Guardi, sono stato a Londra, i gestori dei fondi mi hanno detto: ci piace Cattolica, il suo progetto, il suo management, purtroppo è il paese che non ci convince. A New York è andata un po' meglio, se la situazione dovesse migliorare sono pronti a investire. Ma in questo momento perché un grande investitore deve prendere il rischio Italia? Si prendono un Allianz col rischio Germania, un rischio Olanda».
Ma i rugbisti ci insegnano: mai arrendersi.
«E chi si arrende? Io sono un ottimista, un cristiano orientato positivamente al futuro, dirigo un'azienda che si porta dentro i valori sociali della Chiesa. Per questo, secondo me, andiamo d'accordo col rugby, che in fondo ha gli stessi valori. Ma ho anche dei doveri verso la gente che si affida a Cattolica, devo gestire i loro soldi e ho l'obbligo morale e giuridico di farlo nel migliore modo possibile. Quindi devo chiedermi: tenere nel portafoglio tanti Btp, tanti titoli di Stato italiani, è il modo migliore? Secondo i gestori internazionali, ne ho troppi, e questo frena gli investimenti su Cattolica. Io in questo momento non penso di liberarmi dei Btp in modo brutale, ma se in futuro si aprono delle possibilità di investimento in altri asset che diano buoni rendimenti sarà mio dovere ridurre progressivamente il rischio Italia».
Se lei fosse il coach dei nostri ministri cosa direbbe loro?
«Non sono il loro coach. Hanno avuto il consenso popolare ed è giusto che si cimentino. Ma la procedura di infrazione può diventare molto pesante per l'Italia. E se le condizioni del contesto politico non migliorano è inutile lamentarsi che i grandi investitori non mettano risorse in Italia. Di noi sanno praticamente tutto, sa? Anche se l'Italia rappresenta l'uno per cento delle allocazioni di risorse, quando sono andato a parlare a New York li ho trovati preparatissimi, mi chiedevano degli inceneritori a Caserta, dei no Tav. Insomma a loro non si possono raccontare frottole».
Si fida di più del premier Giuseppe Conte o del capitano della Nazionale Sergio Parisse?
«Se dovessi andare in tribunale o in altri contesti, del professor Conte. Ma in una mischia vorrei avere accanto a me Parisse».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.