Coronavirus

L'Italia medaglia nera: record mondiale di morti

Ci sono primati mondiali che nessuno vorrebbe detenere, soprattutto quando si parla di Covid.

L'Italia medaglia nera: record mondiale di morti

Ci sono primati mondiali che nessuno vorrebbe detenere, soprattutto quando si parla di Covid. Le statistiche della pandemia sono tante e spesso di non facile lettura, ma di certo un dato inchioda l'Italia a una scomoda performance: tra i venti Paesi del mondo più colpiti dal Coronavirus, siamo quello con il maggior numero di morti in rapporto alla popolazione. Lo dice la Johns Hopkins University e lo conferma il sito di statistiche in tempo reale Worldometer. I numeri delle due fonti differiscono leggermente, ma entrambe riconoscono all'Italia il record di morti ogni 100mila abitanti: 112,35 per la JHU, 112,4 per Worldometer. Davanti a noi soltanto San Marino, Belgio e Perù, tre nazioni «minori», con dati rispettivamente di 162,79, 161,57 e 115,22 (fonte Johns Hopkins). Tra le nazioni più «covidizzate», dietro l'Italia ci sono Spagna (104,71), Regno Unito (100,23), USA (95,85), Argentina (93,66), Messico (92,91), Francia (90,08), Brasile (88,63) e Colombia (80,60).

L'Italia è invece al terzo posto nella classifica dei morti in rapporto ai contagiati. Qui ci superano il Messico (9,0 per cento) e l'Iran (4,7). Noi siamo al 3,5, davanti a Regno Unito (3,4), Indonesia (3,0), Spagna (2,7), Argentina (2,7), Colombia (2,7), Sudafrica (2,7) e Brasile a braccetto con l'Ungheria (2,6).

Siamo il cimitero del Covid mondiale, quelli con più croci tra i Paesi grandi e sviluppati, quelli del cosiddetto primo mondo. Che cosa è andato storto? Dove abbiamo sbagliato?

I fattori che contribuiscono a questa lugubre statistica sono numerosi. Il primo attinge a un'altra statistica: siamo tra i Paesi più longevi e quindi vecchi del mondo. La durata media della vità è di 84,01 anni e davanti a noi ci sono solo Hong Kong, Giappone, Macao, Svizzera e Singapore, l'età media attuale è di 47,3 anni. Secondo l'Istat prima della pandemia c'erano 17.874.053 italiani con più di 60 anni (il 29,67 per cento della popolazione), e 10.448.878 sopra i 70 (17,34). Una Italia debole e con altre morbilità, molto esposta alla falce della pandemia. Non è un caso che secondo il report dell'Iss al 9 dicembre l'età media dei pazienti deceduti e positivi a Sars-CoV-2 è di circa 80 anni, più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti contagiati.

Ma ci sono anche altri fattori che hanno contribuito alla Spoon River italiana. Certo, c'è il fatto che l'Italia è stata più rigorosa a conteggiare i morti «con» Covid come morti «per» Covid, mentre altri Paesi hanno adottato contabilità più di comodo. Ma la nostra sanità territoriale si è rivelata poco efficiente, colpevole nel pagare il conto più salato sempre alle stesse categorie: gli anziani e chi soffre di altre patologie. Il geriatra Roberto Bernabei ricorda l'ondata di caldo del 2003: morirono soprattutto anziani che avevano le patologie che oggi si alleano con il Covid. «Chi aveva una buona e continua assistenza domiciliare, ce la faceva. Chi non l'aveva, moriva. Se ne discusse molto, non cambiò nulla».

Ecco, le scelte politiche. Hanno contribuito anch'esse a questa strage. Tra la prima e la seconda ondata è stato sprecato tempo e sono state tradite promesse e alla fine poche cose sono state davvero fatte per affrontare la campagna d'autunno. Un problema che arriva da lontano: il piano pandemico risale di fatto al 2006 e i governi che si sono succeduti si sono limitati a rinnovarlo senza cambiare una virgola. Secondo un documento dell'Oms «la pianificazione è rimasta più teorica che pratica, scarsi gli investimenti e la traduzione delle intenzioni in misure concrete». Non hanno aiutato nemmeno le esitazioni sulle misure di contenimento, parziali e incerte e quindi spesso ignorate.

Povera Italia, vecchia, confusa, smemorata.

E morta.

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