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L'Italia non disponibile a concedere porti di sbarco alla nuova missione in Libia

La posizione del nostro paese è stata espressa nelle scorse ore dal ministro degli esteri Luigi Di Maio: l'emergenza coronavirus, secondo il capo della diplomazia italiana, impedisce all'Italia di poter concedere porti di sbarco nell'ambito della nuova missione Irene

L'Italia non disponibile a concedere porti di sbarco alla nuova missione in Libia

Niente porti, niente possibilità di offrire il proprio contributo logistico alla nuova missione navale in Libia: per adesso il governo di Roma ha altre priorità da affrontare e non può assecondare richieste che arrivano dai propri partner.

È questa la posizione espressa dal ministro degli esteri Luigi Di Maio ai suoi colleghi europei, nel corso di una conferenza video tenuta nelle scorse ore ed in cui, tra le altre cose, si è parlato proprio della nuova missione per il monitoraggio dell’embargo delle armi in Libia.

Le agenzie nelle ultime ore hanno iniziato a battere quella che, secondo fonti della Farnesina, dovrebbe rappresentare la linea di Roma per le prossime settimane. Una decisione certamente determinata dall’attuale emergenza coronavirus, che sta mettendo a dura prova l’intro nostro Paese e che sta richiedendo giorno dopo giorno uno sforzo fuori dall’ordinario a tutte le varie istituzioni ed autorità.

Luigi Di Maio, in particolare, avrebbe proprio fatto presente questa situazione per giustificare la presa di posizione del governo: “L'Italia in questo momento non è disponibile a dare i propri porti per gli sbarchi nell'ambito della nuova missione Ue in Libia per fermare l'ingresso di armi – avrebbe per l’appunto dichiarato Di Maio, così come si legge nelle agenzie - Non si tratta di voler essere buoni o cattivi, si tratta semplicemente di misurare le nostre forze e metterle tutte a disposizione dei nostri concittadini”.

“L'Italia ora non può – ha concluso il ministro degli esteri – L'Italia ora chiede e vuole essere aiutata”. Dunque, Roma non darà la disponibilità dei propri porti per l’approdo delle navi che, da qui alle prossime settimane, parteciperanno alla nuova missione che si svolgerà a largo della Libia.

Un’operazione quest’ultima che andrà a sostituire quella conosciuta dal 2015 con la denominazione di Sophia e che, tra le altre cose, aveva il compito di contrastare i trafficanti di esseri umani e di vigilare sull’embargo delle armi in Libia. Obiettivi falliti e fuori portata: dal Paese nordafricano si è infatti continuato a partire e le armi sono continuate facilmente ad entrare.

Per questo la missione Sophia è stata ridimensionata lo scorso anno e prorogata, senza l’ausilio di mezzi navali, fino a questo 23 marzo. Dopo la conferenza di Berlino, la diplomazia europea ha dunque pensato ad una nuova operazione, in grado di monitorare la situazione a largo della Libia e, anche in questo caso, provare a frenare l’afflusso di armi al di là del Mediterraneo. Il via libera all'operazione è arrivato a febbraio: la nuova missione, in particolare, è stata chiamata Irene.

La preoccupazione massima però, ammessa però a denti stretti nelle scorse settimane nelle stanze della diplomazia italiana, è che con Irene alla fine i risultati sarebbero comunque stati gli stessi della missione precedente. E, in particolar modo, lo spauracchio era dettato da una nuova possibile impennata di sbarchi nel nostro territorio.

Dal 2015 in poi infatti, le navi della missione Sophia hanno semplicemente avuto la funzione di portare i migranti intercettati a largo della Libia nei porti più vicini. Quasi sempre, manco a dirlo, quelli italiani.

Da qui verosimilmente la volontà dell’esecutivo di mettere le mani avanti, negando la possibilità di approdo delle navi della nuova operazione nel nostro Paese. Il perché è presto detto, come si può anche apprendere dalle parole sopra riportate di Di Maio: con l’emergenza Covid-19 ancora ben imperante in Italia, è impossibile gestire a livello logistico nuovi approdi.

Dunque, per il momento, Roma chiede di essere aiutata sottolineando come in questo frangente è oggettivamente impossibilitata ad aiutare.

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