
Una tragedia la cui responsabilità ricade per intero sulla Libia, e per la quale il governo italiano non può essere chiamato in causa. Questo per la Corte europea dei diritti dell'Uomo fu il naufragio che nella notte tra il 5 e 6 novembre 2017 ebbe per vittime i passeggeri di un imbarcazione partita dalle coste libiche con circa centocinquanta nigeriani e ganesi. Una cinquantina di migranti persero la vita, e solo una piccola parte dei corpi - tra cui due bambini - vennero recuperati.
Ad intervenire, dopo la richiesta d'aiuto lanciata dal natante, furono solo una nave libica, la Ras Jadir, e una della ong olandese Sea Watch 3; e fu in Libia che una parte dei profughi salvati vennero trasportati, in condizioni indegne, in un campo di ricovero. Ma diciassette dei sopravvissuti hanno fatto causa al governo italiano, accusandolo di essere responsabile di quanto accaduto. In base agli accordi tra Roma e Tripoli, quel tratto di mare secondo il ricorso è di fatto sotto controllo italiano. Ed è l'Italia a dover rispondere di quanto vi accadde. Tra i firmatari del ricorso a Strasburgo, anche S.S. e R.J., madre e padre dei due bambini morti nella tragedia.
Tra le ragioni che chiamerebbero in causa l'Italia, secondo i ricorrenti, ci sarebbero anche gli aiuti economici forniti al governo libico per il pattugliamento delle sue coste e la fornitura di navi, tra cui la Ras Jadir. «Al momento dei fatti - scrivono - l'Italia esercitava un controllo globale sull'attività di controllo dell'immigrazione da parte del governo libico». Pertanto deve rispondere sia delle morti dei naufraghi che delle violenze subite dai sopravvissuti sulla Ras Jadir e nel centro di detenzione libico.
Con la sentenza resa depositata ieri, la Prima sezione della Corte europea esclude all'unanimità la responsabilità dell'Italia nel naufragio del novembre di otto anni fa, fissando un precedente importante. «Il sostegno fornito dall'Italia alla Libia nel quadro degli accordi bilaterali - si legge nella sentenza - non conduce la Corte a presumere che le autorità libiche si trovassero in una tale situazione di dipendenza da mettere le acque internazionali al largo delle coste libiche sotto il controllo effettivo e l'influenza decisiva dell'Italia». «Nessuna delle navi implicate nel salvataggio batteva bandiera italiana nè era sotto il controllo di fatto dell'Italia». L'unica presenza italiana era un elicottero della marina militare, rimasto estraneo alle operazioni. «Il comandante e l'equipaggio della nave libica hanno agito in maniera autonoma, rifiutando di rispondere agli appelli che le altre navi in zona e l'elicottero italiano gli rivolgevano per coordinare le operazioni».
É vero che il primo allarme era stato raccolto e rilanciato dall'Mrcc, il centro di coordinamento di Roma, che aveva girato l'allerta a Sea Watch 3: «Ma questo non ha il risultato di mettere i ricorrenti sotto la giurisdizione italiana». Anche perchè, secondo quanto risulta al Giornale, Mrcc inizialmente era all'oscuro della presenza della Ras Jadir.
La Corte non minimizza la situazione drammatica in cui i profughi si sono trovati nelle mani dei libici, «esposti a un rischio di torture,
di schiavitù e di discriminazioni». E non nega i pericoli derivanti dall'accordo con regimi come quello di Tripoli. Ma della tragedia di quella notte di novembre l'Italia, dice la Corte dei diritti dell'uomo, non ha colpe.