Alla vigilia del viaggio a Washington del capo del governo Mario Draghi si intravedono le prime crepe in Italia sulla linea rigida, di chiusura totale a ogni tipo di negoziato, adottata dal presidente americano Joe Biden. Non spetta agli Stati Uniti fissare il prezzo della pace (o tregua) tra Ucraina e Russia: è il cuore del ragionamento che mette dalla stessa parte Matteo Salvini, Graziano Delrio e Carlo De Benedetti. Una convergenza inedita, che però mette in luce un dato: l'Italia e l'Europa non possono essere spettatori passivi di un conflitto esploso nella propria casa. E né tantomeno, Europa e Italia sono obbligate a seguire la corsa al riarmo «imposta» dal governo di Washington. La strada è il negoziato: «L'Italia sta lavorando per ravvivare il negoziato, al momento fermo», ribadisce il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nel suo intervento a Che tempo che fa. Di Maio ammette però le spaccature in Ue: «Vorrei vedere più Paesi Ue attivi per rimettere in moto il negoziato».
Il ministro ritorna sullo scontro aperto dal leader dei Cinque stelle Giuseppe Conte contro il premier: «Quello che ha detto Conte sulla legittima difesa in Ucraina credo sia condivisibile. Dobbiamo supportare l'Ucraina e il suo esercito per la sua legittima difesa e allo stesso tempo l'Italia continuerà a lavorare per la pace. Ma non possiamo pensare di fornire armi per colpire il suolo russo». La spinta del «partito pacifista», al quale si iscrive anche Alessandro Di Battista, cresce nella settimana decisiva del faccia a faccia tra Draghi e Biden. La richiesta che arriva al presidente del Consiglio da più fronti è quella di chiedere a Biden di «abbassare i toni».
Una richiesta diventata pubblica, dopo l'uscita, quasi a sorpresa (poi corretta da Letta) del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che in un'intervista al quotidiano tedesco Die Welt ha spiegato: «I membri della Nato non accetteranno mai l'annessione illegale della Crimea alla Russia: ci siamo inoltre sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell'Ucraina orientale. Alla fine, però, il governo ucraino e il popolo ucraino devono assumere decisioni sovrane su quella che può essere una soluzione di pace (con la Russia), non possiamo farlo noi». Il segretario del Pd corre ai ripari: «Mi pare in corso una colossale opera di disinformazione. Ecco la risposta data da Stoltenberg a vari giornali europei. Solo da noi è diventata la Crimea è nostra e deciderà la Nato. No, saranno gli ucraini, che stanno resistendo e morendo, a decidere. Come è giusto che sia». La toppa non cambia il cuore del ragionamento: l'Italia (Draghi) non deve seguire la corsa al riarmo imposta dagli Stati Uniti. Una corsa che diventerebbe insostenibile. Messaggio su cui sembrano trovare una posizione comune Salvini, Delrio e De Benedetti. L'ex capogruppo dei dem in un'intervista a La Stampa incalza Draghi: «Draghi dovrebbe dire a Biden di non esasperare i toni. E l'Europa dovrebbe cessare di mostrarsi assente e spettatrice e assumere invece un'iniziativa di negoziale autonoma: perché Draghi, Macron, Scholz e Sanchez non si fanno promotori di una mediazione? Le parole spese dall'Inghilterra o da chi pensa che la pace consista nel piegare Putin, il capo di una potenza nucleare, mostrano una grande irresponsabilità. Gli americani dovrebbero stare attenti a non usare questi toni, non devono pensare che ci possano essere vincitori.
Parole simili a quelle pronunciate, in un'altra intervista al Corriere della Sera, da Carlo De Benedetti: «Se Biden vuole fare la guerra alla Russia tramite l'Ucraina è affare suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo». Un pensiero che trova la sponda nel leader della Lega Matteo Salvini: «Sono d'accordo con Delrio (Pd). Biden abbassi i toni, basta guerra, Italia ed Europa siano mediatori e portatori di pace. Le parole del Santo Padre si confermano sagge e preziose. Mi auguro che tutti i leader ci riflettano con grande attenzione.
Papa Francesco ha detto che le armi non portano mai la pace e che la guerra è un'insensata sciagura e una pazzia». Anche Carlo Calenda si accorda. Il pressing per un'iniziativa negoziale, che ponga fine al conflitto, cresce. E si trasforma in un mandato politico preciso per il viaggio negli Usa del premier Draghi.
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