L'allarme arriva dai commercianti e dai consumatori. Se veramente qualcuno pensa che una flat tax possa giustificare un aumento dell'Iva, potrebbe sbagliare e dare il via libera a una stangata sulle famiglie.
Ieri il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha chiaramente fatto capire di parteggiare per una riforma che riduca il carico Irpef. Magari non l'aliquota unica, ma una versione «che rispetti il principio costituzionale della progressività». Da vedere come. «In genere si risolve intervenendo su detrazioni e deduzioni». Comunque «bisogna allentare il peso fiscale sulle famiglie del ceto medio», ha spiegato durante la conclusione dei lavori primaverili del Fmi, poco prima di incontrare la direttrice del fondo Christine Lagarde.
Per ora, come noto, nel Def l'aumento dell'Iva è contabilizzato interamente. Sono 27,5 miliardi di euro, mentre «la riduzione Irpef ne restituirebbe al massimo 15 miliardi, con una perdita di circa 8 miliardi di euro per le famiglie», ha protestato ieri Confesercenti. La flat tax porterebbe benefici medi di circa 366 euro a famiglia, mentre «a parità di consumi, dovranno sborsarne 687 in più in virtù dell'aumento dell'Iva». Confesercenti boccia il «baratto» ed entra nel dettaglio: «Ogni anno, in media, una famiglia dovrebbe così spendere 62 euro in più per l'acquisto di alimentari, 112 euro in più per l'abitazione, 36 euro in più per i trasporti, 15 euro in più per i servizi sanitari, 93 euro in più per il resto degli altri beni e servizi».
Un allarme simile è arrivato dal Codacons, che ha stimato un aumento a regime di 1.200 euro all'anno a famiglia. «Senza i costi indiretti legati agli aumenti per imprese, industria, energia e trasporti».
In realtà al ministero dell'Economia si stanno esplorando scenari diversi e nessuno prevede un aumento pieno dell'Iva (l'aliquota ordinaria oggi al 22% passerebbe al 25,2% mentre quella agevolata oggi al 10% al 13%). Possibile invece un aumento selettivo di alcune merci, magari con una motivazione di tipo sociale. Il governo gialloverde potrebbe decidere di penalizzare beni inquinanti, di lusso oppure colpire categorie di merci prodotte prevalentemente all'estero. Poi compensare il resto con tagli alle tax expenditures e una spending review limitatissima.
Tria si muove su un sentiero strettissimo, tra finanze pubbliche e pressioni politiche. Anche ieri gli azionisti di maggioranza del governo hanno fatto sentire la loro voce contro aumenti dell'imposta indiretta. «Non ci sarà aumento dell'Iva, non c'è alcuna volontà di farlo», ha assicurato il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio. «Tutti dicevano che non saremmo stati in grado di trovare i miliardi che servivano per disinnescare le clausole di salvaguardia alla fine il 2018, l'abbiamo fatto. Oggi dico la stessa cosa».
Il ministro dell'Economia, alle prese con il no dell'Fmi alla flat tax, ha confermato che ora l'impegno è quello di cercare coperture alternative. «Dire che se si toglie l'aumento dell'Iva serve una misura alternativa non è un'osservazione del Fondo Monetario, è un'ovvietà.
C'è l'intenzione di misure alternative, sono in corso di discussione e definizione, altrimenti le avremmo già inserite nel Def», ha spiegato. In altre parole, il vero Def, quello che anticipa le misure che saranno adottate dal governo nel 2020, è ancora tutto da scrivere. E non sono escluse sorprese.
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