L'obiettivo è avere la pace, non la resa. E l'Europa non può restare a guardare

Accettare le condizioni di Mosca resta intollerabile. Se Washington si sfila, Bruxelles deve essere pronta

L'obiettivo è avere la pace, non la resa. E l'Europa non può restare a guardare
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Affascinati dalla «immagine storica» del presidente degli Stati Uniti a colloquio con quello ucraino nella basilica di San Pietro, molti politici e commentatori continuano da giorni a parlare di una prospettiva di pace imminente per la «martoriata Ucraina», com'era solito definirla papa Francesco. Il clima, per dirla francamente, sembra un po' troppo miracolistico. Perché, al netto di qualche frase critica verso Putin pronunciata da Donald Trump in un'occasione in cui certo non poteva svillaneggiare Volodymyr Zelensky come due mesi fa alla Casa Bianca, qui non si sta parlando di pace, e meno che mai di una pace giusta, ma semmai della intimazione di una capitolazione a Kiev. Il che impone decisioni queste sì storiche non solo all'Ucraina, ma anche a noi europei.

Consideriamo tre punti. Primo: lo squilibrio a sfavore di Kiev delle «condizioni di pace» indicate dagli americani nel loro piano induce il Cremlino a non sforzarsi nemmeno di nascondere il proprio entusiasmo per «la quasi sovrapposizione delle posizioni americane con le nostre». In pratica, l'Ucraina lascerebbe a Mosca un quarto del proprio territorio in cambio di niente: secondo Trump, Zelensky dovrebbe controfirmare la cessione irreversibile della Crimea, nonché subire quella di fatto di quattro province ucraine orientali solo in parte conquistate dall'invasore russo, nonché ancora rassegnarsi al divieto (preteso da Putin) di aderire in futuro alla Nato, di far schierare nell'Ucraina occidentale truppe europee non combattenti a titolo dissuasivo e a tollerare in prospettiva la fine delle sanzioni che oggi ostacolano un riarmo russo illimitato. In cambio, non c'è nulla: solo il diritto (ipotetico) ad aderire all'Ue e a ricevere un imprecisato aiuto alla ricostruzione (magari affidata per contratto a imprese Usa), ma nessuna garanzia americana per la sicurezza nazionale. Dunque una pace iniquissima e sempre a rischio di essere rotta da Putin.

Secondo: la linea americana mostra chiare inclinazioni filorusse per mal concepiti scopi strategici e palesi interessi economici anche personali di Trump, ma alla Casa Bianca in realtà si fronteggiano due fazioni. La prima capofila il vicepresidente Vance vorrebbe in ogni caso abbandonare non solo l'Ucraina ma l'Europa intera, la seconda guidata dal consigliere presidenziale Waltz - preferirebbe che Washington mantenesse una qualche forma di protezione militare per entrambe. Nessuno sa quale parte potrebbe prevalere.

Terzo: si pone l'inevitabile questione del che fare qualora il piano Trump abortisse e gli Stati Uniti, come già minacciato, si chiamassero fuori. Di fronte a pretese russo-americane insostenibili e anche dietro la pressione dell'opinione pubblica ucraina, che non vuole rese umilianti, Zelensky potrebbe scegliere di continuare a combattere. A quel punto: sarebbe l'Europa in grado di aiutarlo a resistere? A Londra, Parigi e Berlino pensano di sì, sarebbe dura ma sempre meglio che pagare un prezzo altissimo in termini di sicurezza dopo la capitolazione finale dell'Ucraina.

Con Putin che già sta costruendo a 150 km dai confini finlandesi un nuovo quartier generale dell'esercito russo in funzione anti-Nato e ringrazia «gli eroi nordcoreani caduti per aiutare la Russia» promettendo sostegno militare al regime di Pyongyang. Altro che pace: al Cremlino, solo finché c'è guerra c'è speranza.

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