La Germania rallenta e mette nei guai l'Italia. Il copione è quello conosciuto: la prima economia manifatturiera d'Europa frena perché risente della guerra commerciale mondiale, ma anche per una crisi di fiducia delle aziende. Il secondo paese esportatore e manifatturiero, cioè l'Italia, ne fa le spese a distanza di qualche tempo. Solo che questa volta la frenata tedesca è di dimensioni preoccupanti e gli effetti sul Belpaese sono tutti da decrittare.
Ancora una volta la cartina di tornasole dell'economia è l'indice Pmi di Ihs Markit, basato su sondaggi tra gli addetti agli acquisti delle aziende. Nel manifatturiero il Pmi tedesco di settembre è scivolato a 41,4 punti contro i 43,5 punti di agosto, toccando i minimi a oltre dieci anni. Un po' meglio per i servizi con l'indice che si mantiene ancora sopra la soglia di 50 punti (a 52,5 punti) quindi non a rischio crescita zero, anche se in calo di quasi due punti
L'indice composito di tutti i settori è sotto la soglia di 50. Aria di recessione, insomma, a conferma dei timori degli istituti di ricerca come l'Ifo. Manifattura in calo anche nel resto dell'Eurozona, dove è stato registrato il più rapido crollo della domanda di beni e servizi da sei anni a questa parte. L'annuncio di una stagnazione in tutto il Continente, che contrasta con la situazione degli Stati uniti, dove l'indice Pmi è in ripresa, intorno a 51 punti.
Ieri il dato italiano non era disponibile, ma sono inevitabili ripercussioni sull'export, sulla produzione industriale e quindi anche sul Pil dell'anno in corso e del prossimo. Un altro guaio per il governo che si appresta a varare la Nadef, nota di aggiornamento del Def, dove dovrà ufficializzare le nuove previsioni di crescita e fissare un deficit che poi diventerà il punto di riferimento per la prossima legge di bilancio.
Come se i guai per l'esecutivo Conte e per il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri non fossero abbastanza, ieri l'Istat ha comunicato di avere rivisto la crescita del Pil del l 2018 e di avere per questo corretto una serie di indicatori. La crescita è stata rivista a +0,8% invece del +0,9% previsto ad aprile scorso, con una revisione in calo di 0,1 punti percentuali. Poi, sempre l'istituto di statistica, ha ricalcolato il rapporto debito Pil applicando nuove metodologie concordate a livello europeo. Nel 2018 è stato del 134,8% rispetto alla precedente stima del 132,2 per cento.
Una revisione «puramente statistica», hanno precisato ieri fonti del ministero dell'Economia. La differenza tra le due stime è data dall'inclusione nel debito degli interessi maturati sui Buoni Postali Fruttiferi, «lo strumento di raccolta postale emesso fino al 2001 che, con la trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni (avvenuta nel 2003), è stato trasferito al Mef diventando a tutti gli effetti parte del debito pubblico».
Peccato che la cifra ufficiale del 2018 adesso diventi quella rivista e che nel Nadef il governo dovrà ricalcolare il Pil del 2019 e del 2020 alla luce della nuova previsione.
La crescita del prossimo anno sarà sicuramente più bassa dello 0,8% previsto in primavera.
I tecnici del ministero dell'Economia stanno ragionando su uno 0,4%. Una crescita che renderà ancora più difficile rispettare gli impegni con l'Europa senza ricorrere a nuove tasse. In particolare senza fare scattare in qualche modo gli aumenti dell'Iva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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