Roma - C'è la crescita zero per l'Italia nel 2019, i conti pubblici in rosso e gli effetti dell'incertezza politica. Ma seminascosto nell'ultimo Outlook dell'Ocse diffuso ieri a Parigi c'è anche un inciso che ha fatto sobbalzare addetti al settore, commercianti, politici e anche qualche ministro.
Per il 2020 si dà per scontato un aumento dell'Iva. Non quello intero da 23 miliardi previsto dal Def, effetto delle clausole di salvaguardia, che dovrebbe portare l'aliquota ordinaria dell'imposta dal 22 al 25,2% e quella agevolata dal 10% al 13%. Questa versione è contenuta nel documento che ufficializza gli effetti finanziari delle scelte del governo, quindi avrebbe avuto un senso includerlo nelle previsioni dell'organizzazione di Parigi, anche se Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno assicurato più volte che l'aumento sarà sterilizzato.
L'Ocse ha fatto i suoi conti su uno scenario a legislazione invariata, assumendo però che «il governo realizzerà solo circa la metà degli aumenti Iva previsti per il 2020, che ammonterebbe in totale all'1,3% del Pil». Quindi non 23 miliardi, ma circa la metà, 10/11 miliardi.
È l'idea avanzata sottotraccia dal ministero dell'Economia, un compromesso tra la posizione di Giovanni Tria economista e le esigenze della maggioranza di governo che in qualche modo l'Ocse ufficializzata. Anche ieri il ministro ha confermato che per lui sarebbe meglio «avere più imposte indirette, come l'Iva, e meno dirette come l'Irpef. È una mia posizione scientifica». Ogni volta che è emersa questa posizione M5S e Lega l'hanno respinta nettamente. M per gli economisti dell'Ocse è lo scenario più probabile.
Il ministro dell'Economia ieri è tornato al centro dell'attenzione per una valutazione degli ottanta euro di Matteo Renzi. «Nell'ambito della riforma fiscale vengono riassorbiti anche perché tecnicamente è stata una decisione sbagliata, fatta male», ha spiegato parlando ad Agorà. Poi il ministero dell'Economia ha precisato: il ministro «non ha mai parlato di taglio degli 80 euro, ma piuttosto di un possibile loro riassorbimento nell'ambito di una futura revisione del prelievo fiscale». In sostanza, il bonus in busta paga voluto dall'ex segretario Pd sarà rivisto quando il governo dovrà mettere mano alle cosiddette spese fiscali per finanziare una riforma più complessiva del fisco. Ad esempio la flat tax.
Anche in questo caso l'uscita del Tria «professore» fa emergere una posizione che la maggioranza non condivide e potrebbe non tradursi in una decisione concreta. A meno che non rientri nella riforma fiscale alla quale stanno lavorando i due partiti di maggioranza. «Dalla revisione del prelievo fiscale nessuno uscirà penalizzato», assicurano dal ministero dell'Economia
Altro argomento caldo, le coperture del decreto famiglia. Il provvedimento fortemente voluto dai Cinquestelle non è stato approvato dal consiglio dei ministri di lunedì. Solo un veloce passaggio servito al ministro dell'Economia per chiarire ai colleghi del dicastero del Lavoro (Di Maio) e della Famiglia (Lorenzo Fontana) che le coperture proposte non né sufficienti né regolari. «Le coperture sul decreto famiglia ancora non sono state individuate e si è deciso di rinviare il provvedimento», ha ammesso Tria, facendo arrabbiare Di Maio. «Ho visto che il ministro Tria dice che le coperture non ci sono. Le coperture ci sono». La convinzione del leader pentastellato è basata sulle stime dei costi del reddito di cittadinanza. «L'Inps ci dice che avanzerà un miliardo entro quest'anno - spiega Di Maio intervenendo a Skuola.net - perché abbiamo lavorato bene sui controlli e abbiamo escluso un quarto delle persone che non ne avevano diritto.
Quei soldi li destineremo a pannolini, baby sitter, asili nido».Ma il no a questa copertura era già arrivato dalla Ragioneria generale dello Stato. Quando si tratta di finanziare le leggi le ragioni del Tria professore prevalgono su quelle politiche.
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