L'offensiva nel Donbass ora può entrare nel vivo. Niente tregue in vista: Mosca non può fermarsi

L'imminente caduta di Mariupol consentirà ai russi l'attacco finale. Ma il Cremlino ha subito troppe perdite. E non si può permettere di compromettere ancora l'avanzata territoriale

L'offensiva nel Donbass ora può entrare nel vivo. Niente tregue in vista: Mosca non può fermarsi

«Ci sono state solo promesse non mantenute». Gli ultimi difensori ucraini di Mariupol sono pronti alla morte o alla resa. Ma prima d'immolarsi, o alzare bandiera bianca, lanciano un disperato atto d'accusa contro il governo di Volodymyr Zelensky accusato d'averli sacrificati per liberarsi d'una imbarazzante presenza politica e militare. La questione non è nuova. Il Battaglione Azov e altre unità impegnate nella difesa del porto sul Mar di Azov non rappresentano un biglietto da visita edificante né per Kiev, né per i suoi alleati. Al loro interno militano troppe unità legate al «Pravy Sektor», la formazione di estrema destra che - pur non rappresentando una maggioranza - avvalora le tesi russe sulle infiltrazioni «neo-naziste». Proprio nel nome della propria fede molti comandanti di «Pravy Sektor hanno scelto di difendere Mariupol. E, per lo stesso motivo, sarebbero stati abbandonati al proprio destino. Garantir loro una via d'uscita equivarrebbe, infatti, a trasformarli in pericolosi capipopolo capaci di contrapporsi, in futuro, al governo Zelensky. Lasciarli morire tra le rovine consente, invece, di trasformarli in simboli muti e inoffensivi. La consapevolezza di esser usati come agnelli sacrificali emerge dall'ultimo appello «al popolo ucraino» pubblicato su Facebook dai marines della «36a BrigataMikhail Bilinsky». «Stiamo lentamente scomparendo per oltre un mese abbiamo combattuto senza rifornimenti di munizioni, cibo e acqua, facendo il possibile e l'impossibile il nemico ci ha respinto e circondato e ora si prepara a distruggerci» - scrivono i marines prima di lanciare il devastante atto d'accusa contro un Zelensky colpevole di aver fornito «solo promesse non mantenute». Il messaggio ben rappresenta la situazione sul terreno. I russi conquistato il centro della città sono avanzati fino al mare separando le unità ucraine che difendono l'acciaieria di Azovstal, sul lato orientale della città, da quelle strette intorno alle infrastrutture portuali sul lato occidentale. L'imminente caduta di Mariupol consentirà ai russi e alle milizie alleate di spostare numerose unità sugli altri fronti dell'imminente offensiva per il Donbass. Tuttavia nulla è scontato. Anche perché la nomina a comandante in capo del generale Alexander Dvornikov non sembra, per ora, produrre sostanziali mutamenti. Il convoglio di 13 chilometri in movimento verso Kharkiv segnala sicuramente l'imminenza dell'offensiva, ma anche il persistere delle scelte strategiche adottate sul fronte di Kiev dove le lunghe e lente colonne russe sono state decimate dagli attacchi delle unità ucraine armate di missili controcarro. Mosca rischia anche una controffensiva nella zona di Kherson, ovvero su quel fronte meridionale dove tenta da settimane di sfondare verso Odessa. La ritirata russa da Kiev ha, infatti, aperto la strada ai rifornimenti di armi occidentali che dalla frontiera polacca scendono verso Mykolaiv. Una controffensiva ucraina in questa zona potrebbe paradossalmente raggiungere i dintorni di Melitopol e bloccare il «corridoio» russo destinato a collegare Mariupol alla Crimea. In tutto questo Mosca deve anche far fronte alle «significative» perdite ammesse dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Secondo stime occidentali il 20 per cento di quelle perdite sarebbe costituita da ufficiali mentre almeno il 15 per cento dei caduti apparterrebbe alle unità aviotrasportate. Dunque Mosca, oltre ad aver problemi con la catena di comando, potrebbe aver difficoltà a rimpiazzare gli effettivi dei reparti che - per addestramento e capacità - rappresentano la punta di diamante del proprio schieramento. Ma se da una parte ha bisogno di tempo per colmare i vuoti dall'altra Mosca non può permettersi di fermarsi o, peggio, compromettere l'avanzata territoriale conseguita in 46 giorni di guerra.

Per questo non prevede tregue o cessate il fuoco in grado di facilitare eventuali trattative. «Durante i prossimi cicli di negoziati - ha spiegato ieri il ministro degli esteri Sergei Lavrov - non ci saranno pause fino al raggiungimento di un accordo finale». Da qui in poi, insomma, si combatterà e basta.

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