Cronache del primo giorno del Talebanistan, l'Afghanistan nelle mani dei mullah integralisti.
Mano tesa. I nuovi padroni del Paese garantiscono di non volere irritare i loro nemici che del resto hanno fatto loro la grande cortesia di fuggire a gambe levate. Il portavoce dei ribelli, Zabihullah Mujahid, nella prima conferenza stampa che tutto il mondo ascolta con il fiato sospeso è chiaro: «Non vogliamo avere nessun problema con la comunità internazionale».
Il programma dei «non». Poi nella conferenza, partita con un moto di «orgoglio per l'intera nazione. Dopo 20 anni di lotta abbiamo liberato il paese ed espulso gli stranieri», Mujahid sparge rassicurazioni a piene mani. Amnistia in tutto il Paese. Nessuna vendetta. Nessuna minaccia alle ambasciate straniere. Nessuna aggressione fuori dai confini. Nessun ostacolo ai media purché non contraddicano i valori islamici e gli interessi nazionali. Stop alla coltivazione del papavero da oppio e al traffico di stupefacenti. La questione femminile preoccupa il mondo e i talebani ci vanno piano: «Siamo impegnati a rispettare i diritti delle donne sotto il sistema della Sharia. Abbiamo il diritto di agire secondo i nostri principi religiosi». Quindi, «permetteremo alle donne di lavorare e studiare, ma entro la nostra struttura». In mattinata Enamullah Samangani, rappresentante della «commissione cultura» dei Talebani, aveva aperto alla presenza di donne nell'esecutivo, ma sempre «in base alla sharia». I talebani sembrano perfino disposti a un po' di autoanalisi, nella quale non sono mai apparsi fortissimi: «Per quanto riguarda l'esperienza, la maturità e la visione, vi è naturalmente una grande differenza fra noi ora e venti anni fa. C'è una differenza nelle azioni che intraprenderemo. È stato un processo evolutivo». Tra pochi giorni i talebani annunceranno la formazione del nuovo governo, al quale stanno lavorando. Si tratterà a loro dire di un governo inclusivo, nel quale «siano rappresentate tutte le parti» e che «porrà fine alla guerra», come promette Mujahid. Dopo la nascita dell'esecutivo «decideremo quali leggi presentare alla nazione».
Amrullah incita alla resistenza. Fuggito il presidente Ashraf Ghani, il suo vice Amrullah Saleh si è dichiarato «presidente ad interim legittimo in base alla Costituzione afgana» e in quanto tale ha lanciato un appello alla «resistenza», riservando anche una stoccata agli Stati Uniti: «A differenza di loro e della Nato, non abbiamo perso lo spirito e vediamo enormi opportunità davanti a noi».
La comunità internazionale. È naturalmente scettica. L'Occidente, l'Onu in testa, invoca la formazione di un governo inclusivo. Il premier britannico Boris Johnson insiste sull'opportunità di organizzare quanto prima un G7 sull'Afghanistan. Jens Stoltenberg, segretario generale dell'Onu, parla di «crollo imprevedibile, rapido e improvviso» e parla di «lotta al terrorismo». Ma non tutti sembrano preoccupati. A Mosca il ministro degli Esteri Sergej Lavrov sembra apprezzare la nuova disponibilità a dialogare dei talebani, così come il suo omologo ad Ankara Mevlut Cavusoglu: «Spero che vedremo lo stesso approccio nelle loro azioni».
Kabul sotto shock. Poche le voci che arrivano dalla capitale afghana.
Tra queste quella di Alberto Zanin, responsabile dell'ospedale di Emergency che racconta di una città «poco trafficata, si vedono molte meno persone in giro, anche per l'avamposto di talebani armati che fermano per i controlli ma al momento non risultano persone ferite». Zanin racconta che nella precedente notte si sono sentite «numerose raffiche di kalashnikov, le persone sono preoccupate».
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