Coronavirus

In Lombardia scuole chiuse Ora deve decidere il governo

Il Pirellone: prorogare le misure restrittive fino al 9 marzo Tra lunedì e mercoledì lezioni regolari nelle altre regioni

In Lombardia scuole chiuse Ora deve decidere il governo

In Lombardia si sperava che il ritorno alla (quasi) normalità avesse - da lunedì prossimo, 2 marzo - il suono trillante di una campanella. Scolastica. Invece no, bisognerà attendere sì un lunedì, ma quello del 9 marzo. Questa la richiesta formalizzata dalla Regione Lombardia al premier Conte e che il governo ora dovrà ratificare. E così solo il 9 marzo scatterà l'ora X. Con (quasi) tutti in classe, universitari compresi. Facendo finta che il coronavirus sia stato (quasi) sconfitto. Il confine tra emergenza Covid 19 ed ex emergenza Covid scorre infatti lungo il crinale di questa parolina di cinque lettere: q-u-a-s-i; avverbio che ha il gusto amaro dell'indeterminatezza, esattamente come il nemico invisibile che ci assilla da una settimana, e che ci assillerà chissà ancora fino a quando. La scuola è, da sempre, il banco di prova per valutare la «promozione» o la «bocciatura» di una società. Quella italiana è stata messa in ginocchio da un'«influenza sconosciuta» arrivata - dicono gli esperti - «dalla giungla».

Abbiamo avuto paura, abbiamo chiuso tutto il chiudibile, ci siamo barricati in casa, ci siamo lavati le mani più negli ultimi giorni che in tutti gli anni precedenti della nostra vita. Ma adesso basta. Vabbè, le mani continueremo a lavarcele (ok, «per almeno 30 secondi»), ma per piacere fate tornare i nostri figli a scuola e all'università, e fate tornare noi nei cinema, nei musei, nelle palestre, nei bar, ecc., restituendoci quella «socialità» che è tra i beni più importanti: lo abbiamo capito non appena lo uno stupidissimo virus ha tentato a scipparcelo con l'arma più insidiosa, quello della diffidenza reciproca. Perdere la fiducia nel nostro amico, nel nostro collega, solo perché segregato in una «zona rossa» è una cosa terribile. L'abbiamo provata. Ora va superata. L'agognato rientro a scuola e negli atenei avrebbe avuto un enorme valore simbolico, esattamente come l'ha avuto la loro chiusure. Ha da passà 'a nuttata diceva Eduardo, ma a tutt'oggi, 'a nuttata, non è ancora passata. Se ne riparlerà lunedì 9. Quando, incrociando le dita, la luce tornerà definitivamente nelle aule lombarde. In quelle venete, liguri, piemontesi, dell'Emilia Romagna e del Trentino Alto Adige il portone d'ingresso potrebbe riaprirsi invece lunedì 2 o, al più tardi, entro mercoledì 4. Da parte sua il governatore delle Marche, Luca Ceriscioli, dopo gli ultimi casi di infezione registrati sul proprio territorio, continua a fare «resistenza passiva». Risultato: un avvilente braccio di ferro giuridico con lo Stato a colpi di ricorsi e impugnazioni. Qui il rientro a scuola è previsto per mercoledì 4. Si è risolto invece solo con una figuraccia il «caso Basilicata»: dopo l'assurda «ordinanza di quarantena» (poi annullata) per gli studenti lucani rientrati dalle «regioni del nord», il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, ha chiesto scusa per la «svista» che, tra l'altro, ha messo in non poco imbarazzo il ministro della Salute, Roberto Speranza, per inciso anche lui lucano.

Intanto il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, conferma che «non c'è nessun rischio che i nostri studenti perdano l'anno», considerato che la normativa stabilisce che «al ricorrere di situazioni imprevedibili è fatta salva la validità dell'anno scolastico».

Nel resto d'Italia, dove i casi di positività si contano sulle dita di una mano, le scuole riapriranno regolarmente lunedì prossimo. Non così - come già detto - in Lombardia. Una decisione clamorosa. Che smentisce parzialmente l'ottimismo mostrato l'altroieri da Azzolina: «Credo che ormai anche a Milano si vada verso un'imminente riapertura delle scuole».

Una buona notizia per gli insegnanti: «I docenti non sono a casa per malattia ma per causa di forza maggiore, non avranno alcuna trattenuta dallo stipendio. È come se i docenti fossero andati a scuola normalmente».

O quasi.

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