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Per l'omicidio Attanasio l'Onu è sotto inchiesta

Due funzionari minimizzarono i rischi del convoglio assalito. La moglie: nessuno fugga

Per l'omicidio Attanasio l'Onu è sotto inchiesta

I funzionari del Programma alimentare mondiale, costola dell'Onu, non hanno rispettato le norme di sicurezza, che avrebbero potuto salvare il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci e l'autista congolese Mustapha Milambo. La procura di Roma ha indagato, nell'ambito della mortale imboscata, l'italiano Rocco Leone, numero due del Pam in Congo e Mansour Luguru Rwagaza responsabile della sicurezza del Programma alimentare. Il convoglio della morte era partito da Goma la mattina del 22 febbraio 2021 e un'ora dopo è finito in un agguato. L'autista è stato ucciso subito e l'ambasciatore con il carabiniere sono stati portati via dai rapitori, ma hanno perso la vita poco dopo durante il conflitto a fuoco con i ranger del parco Virunga intervenuti per sventare il sequestro.

Una nota della procura rivela che Leone e Rwagaza sono accusati di avere «attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell'Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell'ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima». In pratica non avevano fatto in tempo ad avvisare i caschi blu della missione Monusco, che potevano garantire una scorta armata e mezzi blindati. Gli inquirenti sottolineano che i due dipendenti Onu hanno omesso anche di «predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare () che avrebbero imposto di indossare, o avere prontamente reperibili, il casco (elmetto nda) ed il giubbotto antiproiettile».

Ancora più gravi le promesse non mantenute «in presenza di un ambasciatore che, rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio, e dopo aver dato assicurazioni al carabiniere lacovacci, a seguito delle sue richieste, di poter usufruire di veicoli blindati (che il Pam aveva in dotazione a Goma), - si legge nella nota - che le misure di sicurezza base sarebbero state incrementate».

La Procura continua le indagini sull'agguato per sequestro di persona a scopo di terrorismo «finalizzate ad identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le due rogatorie già inoltrate alla Repubblica democratica del Congo». Il 19 gennaio la polizia di Goma aveva annunciato l'arresto di due membri della banda, ma dei loro interrogatori e verbali non si è saputo più nulla.

«Auspico che nessuno si sottragga alle proprie responsabilità e che il Pam non ostacoli in alcun modo lo svolgimento di un giusto processo nel Paese per cui Luca e Vittorio hanno sacrificato le loro giovani vite» ha dichiarato a caldo, Zakia Seddiki, la moglie dell'ambasciatore Attanasio. I legali del Pam avevano già alzato come scudo un'inesistente immunità diplomatica in Italia. «É emerso che la morte di mio marito non si sarebbe verificata se il Pam, come era suo obbligo fare, avesse gestito in modo scrupoloso e adeguato la sicurezza della missione» ribadisce la moglie.

Il padre di Attanasio, Salvatore, che fin dall'inizio ha puntato il dito contro l'Onu commenta così le notizie della Procura: «Mi sarei stupito del contrario.

Ci auguriamo che sia il primo passo verso la verità, perché senza verità non c'è giustizia».

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