No al No Deal. A quindici giorni dal 29 marzo, data del divorzio, il Parlamento inglese rigetta l'opzione di un'uscita del Regno Unito dalla Ue senza accordo «in ogni momento e in qualsiasi circostanza» e spinge il Paese verso il rinvio della Brexit, definito ormai «inevitabile» dal leader dell'opposizione Jeremy Corbyn. La sterlina sale (ai massimi da due settimane). Theresa May, che sperava di poter continuare a sventolare il No deal come minaccia nelle trattative con la Ue, viene nuovamente umiliata: le mancano 43 voti dopo che 321 deputati contro 278 votano a favore della mozione del governo, modificata last minute, che esclude il No deal. Almeno 13 ministri filoeuropeisti si astengono, un altro schiaffo alla premier che aveva chiesto di votare contro e viene invece sconfitta ancora più pesantemente. Il testo della mozione è stato modificato dopo la vittoria dell'emendamento bipartisan con cui per primo i deputati, con una maggioranza di appena 4 voti, hanno voluto togliere dal tavolo l'opzione di addio senza intesa.
Il governo è nel caos, il rischio che imploda è sempre dietro l'angolo (ieri un'altra dimissione). Eppure Theresa May, fresca di sconfitta, ricorda che il No deal non è tecnicamente escluso: «Non basta un voto per toglierlo dal tavolo. A meno che non venga concordato qualcos'altro o non venga cancellata la Brexit, lasceremo la Ue senza intesa». Concetto ribadito dalla Commissione europea: «Non è sufficiente votare contro il No deal, dovete trovare un'intesa per un accordo».
Oggi il Parlamento voterà per l'estensione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, terza e ultima tappa di una maratona cominciata martedì alla Camera dei Comuni con la bocciatura (la seconda dopo quella di gennaio), del piano di uscita concordato dalla premier britannica con i 27 dell'Unione europea. La richiesta è condizionata dal via libera della Ue e il suo successo dipenderà anche da quanto tempo le parti avranno ancora a disposizione per trattare: rinvio breve, per non finire nel caos delle elezioni europee di fine maggio? Oppure rinvio lungo, per evitare che un proroga breve, come teme la Ue, non serva a nulla e si concluda con il No deal? In entrambi i casi le trattative potrebbero naufragare. E sarebbe No deal.
Il punto della questione lo ha sintetizzato il capo negoziatore Michel Barnier: «Rimandare e prolungare i negoziati, per fare che? Il trattato c'è, è qui», dice Barnier, facendo capire che tocca solo a Londra decidersi. E Theresa May, ostinata al limite della cocciutaggine, spera ancora che quell'intesa bocciata due volte (la prima con 230 voti mancanti e la seconda con 149 appena martedì) passi in Parlamento, riproposta per la terza volta. Nella mozione che presenterà oggi, la premier ha fissato al 20 marzo (9 giorni alla Brexit) il termine entro il quale tenere un terzo voto di ratifica. Se l'accordo venisse approvato (altamente improbabile), il governo chiederebbe un rinvio al 30 giugno. Se venisse bocciato per la terza volta, la premier chiederebbe una proroga più lunga, il che vorrebbe dire per il Regno Unito partecipare alle prossime elezioni europee.
Una circostanza che viene ancora usata come minaccia dalla premier: votate il mio accordo o ci sarà una lunga proroga. E il rischio di nessuna Brexit. Corbyn le ha già risposto: «È arrivato il momento per il Parlamento di prendere il controllo della Brexit».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.