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Londra, guerra sulle tasse

Il premier Boris Johnson: niente aumenti e Brexit entro Natale. Il rivale Corbyn, neutrale sulla Ue: i ricchi devono pagare

Londra, guerra sulle tasse

Jeremy promette di togliere ai ricchi (pochi) per dare agli altri (molti) e gioca a fare il «Corbyn Hood». Boris promette di non togliere a nessuno per aiutare tutti, soprattutto la gente comune a fronteggiare il costo della vita. Jez, il rosso, dice che in caso di secondo referendum sulla Brexit sarà «neutrale». BoJo, il blu, dice di voler «neutralizzare» il rivale entro Natale e promette un dono sotto l'albero: Brexit votata prima del 25 dicembre, addio alla Ue entro il 31 gennaio.

Mancano due settimane alle elezioni del 12 dicembre in cui il Regno Unito deciderà se lasciare il conservatore Boris Johnson, 55 anni, alla guida del Paese, dopo 9 anni di governi tory. E per Jeremy Corbyn, leader dell'opposizione laburista, 70 anni, sarà l'ultima chance per prendere in mano le chiavi di Downing Street. I sondaggi più recenti dicono che i tory avrebbero un vantaggio di 19%, che Boris vincerà facile. Ma sono previsioni che non offrono garanzie in questa fase di caos politico. L'ex premier Theresa May, nel 2017, era in testa alle rilevazioni prima di perdere la maggioranza assoluta alla prova delle urne due anni fa.

La vera partita, insomma, si apre adesso che i due partiti hanno presentato i loro programmi elettorali. Ed è una battaglia politica che si gioca su tre fronti: tasse, Brexit e il ruolo dello Stato nella vita pubblica. Due filosofie opposte, quelle di «Jez» e «BoJo», come li chiamano gli amici, figlie di due visioni del mondo antitetiche. Il leader del Partito laburista all'opposizione, Jeremy Corbyn, vuole combattere il turbocapitalismo tassando quel 5% di inglesi che guadagna oltre 80mila sterline l'anno (93mila euro) e imponendo più tasse alle aziende. L'obiettivo: finanziare il suo programma «radicale» che aumenta la spesa pubblica di 83 miliardi, per dare fiato alla Sanità e alle famiglie: settimana lavorativa accorciata a 32 ore, aumento del 5% dei salari, abolizione delle tasse universitarie, 150mila nuove case popolari, banda larga per tutti, cittadini e imprese, entro il 2030. E - come se non bastasse - pure controlli odontoiatrici annuali gratuiti. In sostanza: più Stato e più tasse sui ricchi. Con una rivoluzione verde finanziata da una tassa sui profitti in eccesso delle compagnie petrolifere e del gas. Gli economisti e il mondo del business hanno già bocciato il piano: troppo costoso, dicono, alla fine toccherà a tutti pagare, non solo al 5%. L'indipendente Insititute for Fiscal Studies, che analizza le politiche pubbliche, lo ha tacciato come programma «non credibile» e ha avvertito: se Corbyn realizzasse i suoi piani, il Regno Unito avrebbe «il regime di tassazione alle imprese più punitivo al mondo».

Ieri è arrivato il controcanto del primo ministro, liberale di ferro, difensore della filosofia conservatrice, che ha presentato il suo manifesto basato sul principio: meno Stato, meno tasse. Il premier conservatore promette il triplo blocco agli aumenti: non alzerà le imposte sul reddito, non aumenterà l'Iva e non farà salire i contributi pagati da dipendenti e datori di lavoro allo Stato (National Insurance). Boris dice che spingerà la spesa pubblica avanti di appena 3 miliardi di sterline (3 miliardi e mezzo di euro). E questo nonostante la promessa di 50mila infermieri in più nel servizio sanitario nazionale (Nhs), in cui intende iniettare 39 miliardi di sterline (45 miliardi di euro), di maggiori fondi alle scuole, del reclutamento di 20mila nuovi poliziotti e di una guerra alle buche sulle strade (500 milioni di sterline l'anno). Ma viene accusato dal rivale Corbyn di mettere in atto «un piano pagato dai miliardari, scritto per i miliardari e a beneficio dei miliardari» (a cui avrebbe voluto tagliare le tasse, salvo far sparire la promessa fatta quando è stato eletto leader dei Tory, a luglio).

Grazie alla desistenza del Brexit Party di Nigel Farage, che ha rinunciato a candidarsi nei seggi in cui i Tory hanno vinto nel 2017, grazie alla fuga da Labour in molte circoscrizioni working class e pro-Brexit e ai LibDem che toglieranno ai laburisti i voti della sinistra anti-Brexit, Boris sembra correre verso la vittoria. Un sondaggio YouGov dice che i Tory sono considerati dal 39% degli inglesi più affidabili, in tema di economia, del Partito laburista (fermo al 21%). Boris è ampiamente preferito a Corbyn nei sondaggi sulla leadership, in cui il laburista registra numeri catastrofici (per Ipsos Mori è il più impopolare leader di opposizione degli ultimi 45 anni). L'ambiguità perpetua di Corbyn sulla Brexit potrebbe aver fatto il resto. «Come si fa a restare neutrali su una questione vitale per il nostro Paese?» attacca Boris. La prossima settimana si comincia a votare per posta.

In attesa di capire se vincerà l'anticapitalismo di Corbyn o il liberalismo di Boris.

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