Il G7 che si è aperto ieri a Londra e che vi si concluderà domani è un mini vertice riservato ai ministri degli Esteri, che serve soprattutto a preparare il summit vero e proprio: quello che vedrà impegnati i sette leader, in calendario sempre in Inghilterra il mese prossimo. È il primo che torna a svolgersi «in presenza» dall'inizio della pandemia e soprattutto è il primo del dopo-Trump. E non è esagerato osservare che il nuovo approccio alle relazioni con gli alleati europei, ma anche asiatici voluto dal presidente americano Joe Biden è l'aspetto più significativo di questa riunione tra i capi delle diplomazie di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Giappone e Canada, e lo sarà della successiva.
Il segretario di Stato (che poi significa ministro degli Esteri) Antony Blinken, lasciando Washington diretto a Londra, ha usato Twitter non per inviare minacce più o meno velate ai propri alleati o per cercare di dividerli come era solito fare Trump, ma ha messo l'accento sui valori comuni e promesso un confronto «sulle sfide da affrontare e sulle opportunità da cogliere». Quali siano le prime, nella visione aggiornata dopo i primi cento giorni di Biden alla Casa Bianca, è molto chiaro soprattutto in ambito geopolitico: recuperare un'unità di intenti occidentale e soprattutto transatlantica ed essere consapevoli della necessità per il campo delle democrazie di fronteggiare l'asse che sempre più visibilmente vanno formando le autocrazie, in primo luogo la Cina di Xi Jinping saldata alla Russia di Vladimir Putin, ma anche a temibili alleati minori come l'Iran. Il che non significa necessariamente prepararsi a una nuova guerra fredda, ma al tempo stesso saper usare concordemente le armi della diplomazia per ottenere dei risultati concreti.
Due aspetti sembrano indicativi del rinnovato contesto di questo «pre-G7» londinese. Il primo è l'invito - in qualità di osservatori accanto a quello tradizionale di un rappresentante dell'Unione Europea - esteso ai ministri degli Esteri dell'Australia, dell'India, della Corea del Sud, del Sud Africa e del sultanato del Brunei, attuale presidente di turno dell'alleanza filoccidentale del sud-est asiatico Asean: sono tutti, a vario titolo, soggetti interessati a un nuovo fronte che già il segretario di Stato di Trump, Mike Pompeo, aveva cominciato a costituire per contenere l'espansionismo della Cina, e che Blinken va rafforzando. Il secondo è l'esame che viene fatto in queste ore della proposta britannica per un meccanismo comune di risposta alla diffusione da parte della Russia e della Cina di propaganda e disinformazione (Trump avrebbe detto «fake news», ma lui con Putin ci andava molto più d'accordo e non si riferiva mai alle sue...) destinate a creare problemi nel fronte occidentale.
Si tratta, nell'intenzione di Londra, di mettersi nelle condizioni di rispondere colpo su colpo in tempi molto rapidi, mettendo a nudo una strategia basata sulla menzogna scientifica e sull'uso dei famigerati troll, i finti «lettori anonimi» che intervengono nelle rubriche dei lettori dei media occidentali per seminare false notizie, tensioni e sfiducia nel sistema democratico: la strategia sovietica della «dezinformàtsia», adattata al XXI secolo.
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