Politica

Londra pure senza opposizione: sfiduciato Corbyn

Contro il leader del Labour l'81% dei deputati. Ma lui: non mi dimetto, voto anticostituzionale

Gaia Cesare

Un risultato umiliante, 172 a 40. Che dimostra come il Regno Unito abbia perso ormai ogni riferimento politico. L'imponente numero di voti con cui i deputati del Partito Laburista, nel segreto delle urne, hanno sfiduciato il proprio leader Jeremy Corbyn sono la fotografia di un Paese che non ha più un vero capo di governo e sta perdendo anche il leader dell'opposizione. Dopo la Brexit, la Jexit. Potenza del referendum che dal 23 giugno ha scatenato uno sciame sismico mai visto prima nella politica inglese. Molti segnali ormai lasciano presagire che entrambi i partiti si stiano preparando all'eventualità di nuove elezioni.

In casa laburista la lotta per la leadership si trasforma in uno spettacolo imbarazzante con Corbyn sfiduciato nella mozione proposta da due deputati e che però non vuole mollare: «Non me ne vado, le mie dimissioni tradirebbero gli elettori che mi hanno votato in massa lo scorso settembre». In effetti il 60% dei membri del partito sarebbe ancora con lui. Ma gli equilibri si sono incrinati con il referendum sulla Ue. Un sondaggio ha rilevato che la metà degli elettori Labour non sapeva nemmeno che il partito fosse favorevole al Remain, alla permanenza cioè nell'Unione Europea. E un altro sondaggio YouGov, condotto dopo la Brexit, svela che il 27% dei sostenitori laburisti ha dichiarato di avere qualche dubbio sul futuro sostegno al Labour dopo il risultato del referendum. Numeri che proverebbero lo scarso impegno di Corbyn nella campagna anti-Brexit. Non solo. Il capo del Labour ha perso nelle ultime ore il sostegno del suo Governo ombra, dimessosi in massa per protesta dopo il licenziamento del responsabile degli Esteri Hilary Benn che gli aveva chiesto di farsi da parte. Non è bastato mettere in piedi un nuovo governo ombra, in tutta fretta, che in meno di 24 ore sono scattate altre dimissioni e poi il voto di sfiducia. Eppure Corbyn sembra infischiarsene e in un braccio di ferro con i suoi deputati lascia presagire una guerra di cavilli senza precedenti sulla leadership: «Il voto non ha alcuna legittimità costituzionale». E insiste: «Il Labour ha la responsabilità di essere una guida laddove il governo non lo è». Intanto però è già partita la corsa ai papabili successori, tra cui il celebre deputato anti-Murdoch Tom Watson e la parlamentare Angela Eagle, con il primo candidato come leader ad interim per gestire la fase critica. E una domanda che incombe sul partito: potrebbe ricandidarsi Corbyn? E se non se ne andasse, davvero il Labour - come trapelato nei giorni scorsi - sarebbe pronto a formare un partito nel partito eleggendo un altro leader a Westminster? Quel che è certo è che la stragrande maggioranza dei deputati laburisti (contro di lui si è espresso l'81%) reputa ormai Corbyn incapace di gestire la delicatissima fase che sta vivendo il Paese e che potrebbe sfociare in elezioni generali già in autunno.

Anche in casa Tory ci si prepara alla scelta del prossimo leader e la battaglia, dopo che il ministro delle Finanze George Osborne si è tirato fuori dai giochi, sembra ormai concentrarsi su Boris Johnson e Theresa May, quest'ultima in testa nei sondaggi. Ma ora spunta anche il nome di Jeremy Hunt, ministro della Sanità che sul Telegraph ieri si è fatto portavoce del fronte «voto-bis» chiedendo un secondo referendum. Ma Boris è pronto a una dura battaglia. Non a caso il suo consigliere nella corsa per la leadership potrebbe essere sir Lynton Crosby, il «mago» delle strategie elettorali che è stato l'artefice della vittoria dello scorso anno di David Cameron e del Partito conservatore. Il nuovo leader dovrebbe entrare in carica il 9 settembre, una settimana dopo quanto annunciato da Cameron, ha fatto sapere il partito. Vinta la lotta interna, non è escluso che il prescelto decida di indire nuove elezioni. Sarebbe un modo per guadagnarsi la piena legittimità degli elettori, specialmente se, come sembra, l'opposizione resterà nella drammatica situazione di queste ore.

E sarebbe uno stratagemma per avanzare proposte su come gestire il dopo-Brexit, magari trovando quella soluzione di mezzo in cui ormai molti sperano.

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