Politica

Londra rigetta il «No deal» e ora punta a rinviare l'uscita

La premier nuovamente umiliata. Passa la mozione che esclude l'addio senza intesa «in ogni circostanza»

Gaia Cesare

A quindici giorni dal 29 marzo fissato come data del divorzio, il Parlamento inglese rigetta l'opzione di un'uscita del Regno Unito dalla Ue senza accordo «in ogni momento e in qualsiasi circostanza» e spinge il Paese verso il rinvio della Brexit o verso una soft Brexit. Theresa May, che sperava di poter continuare a sventolare il No deal come minaccia nelle trattative con la Ue, viene nuovamente umiliata: le mancano 43 voti dopo che 321 deputati contro 278 votano a favore della mozione che esclude il No deal. Un testo modificato last minute, dopo la vittoria dell'emendamento bipartisan con cui per primo i deputati, con una maggioranza di appena 4 voti, hanno voluto togliere dal tavolo l'opzione di addio senza intesa. Ma il governo è nel caos, il rischio che imploda si fa sempre più forte. E Theresa May, fresca di sconfitta, ricorda che il No deal non è tecnicamente escluso: «Non basta un voto per toglierlo dal tavolo. A meno che non venga concordato qualcos'altro o non venga cancellata la Brexit, lasceremo la Ue senza intesa».

Oggi il Parlamento voterà per l'estensione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, terza e ultima tappa di una maratona cominciata martedì alla Camera dei Comuni con la bocciatura (la seconda, più limitata, ma altrettanto scottante per Theresa May), del piano di uscita concordato dalla premier britannica con i 27 dell'Unione europea. La richiesta è condizionata dal via libera della Ue e il suo successo dipenderà anche da quanto tempo le parti avranno ancora a disposizione per trattare: rinvio breve, di un paio di mesi, per non finire nel caos delle elezioni europee di fine maggio? Oppure rinvio lungo, come spera sempre di più l'Unione europea, convinta che una proroga breve non serva a nulla e potrebbe concludersi con il No deal? In entrambi i casi le trattative potrebbero sempre naufragare. D'altra parte, se non si è riusciti ad accordarsi in tre anni, ce la si farà in molto meno tempo? Eppure è ormai chiaro che il Parlamento vuole evitare a tutti i costi l'uscita non ordinata.

Ma la tensione Londra-Bruxelles resta alta. Il vice-negoziatore europeo Sabine Weyand ha parlato di un Parlamento britannico «dissociato dalla realtà». Il riferimento è all'emendamento Malthouse, secondo dei due ammessi, ma ampiamente bocciato in Aula (sono mancati 210 voti), e che sostanzialmente prevedeva un no-deal controllato, quel che la Ue da tempo nega di non voler concedere: estensione fino al 22 maggio, durante la quale chiedere un periodo di transizione fino al 2021. Oltre 14 ministri hanno votato a favore, imbarazzo che aggiunge imbarazzo al governo e prova la resistenza degli interlocutori.

Il punto della questione lo ha sintetizzato però nuovamente ieri il capo negoziatore Michel Barnier: «Rimandare e prolungare i negoziati, per fare che? Il trattato c'è, è qui», dice Barnier, facendo capire che tocca solo a Londra decidersi. E Theresa May, ostinata al limite dell'illusione, spera ancora che quell'accordo bocciato due volte (la prima con 230 voti mancanti e la seconda con 149 appena martedì) passi in Parlamento riproposto per la terza volta. Ma dovrà vedersela con lo Speaker della Camera, che ha precisato di voler valutare se è possibile riproporre il piano May-Bruxelles per la terza volta.

Quasi impossibile dopo l'ennesima batosta.

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