Coronavirus

L'ordine: tamponi a tappeto "Ma non mandano i reagenti"

Il governo chiede più test alle Regioni. Fontana accusa "Ci hanno spedito i kit, senza i liquidi per i risultati"

L'ordine: tamponi a tappeto "Ma non mandano i reagenti"

Milano Il governo manda i tamponi ma non manda i reagenti, cioè le sostanze chimiche necessarie per elaborare i risultati. Le diagnosi quindi non si possono fare, o se ne possono fare in numero limitato. L'sos arriva dalla Regione Lombardia, e conferma quanto emerso nei giorni scorsi sulla scarsa preparazione del dipartimento governativo; un quadro preoccupante aggravato dai dati secondo i quali solo il 2,6% della popolazione ha eseguito l'ormai famoso test naso-faringeo.

Grandi differenze fra le regioni, ma il dato appare ancora molto lontano dai livelli annunciati dal commissario straordinario Domenico Arcuri, che tre giorni fa ha parlato di 3,7 milioni di tamponi acquistati e di 5 milioni di esami da eseguire nelle prossime settimane, con l'obiettivo di perfezionare un vero e proprio screening di massa in grado di fermare il contagio.

«Ci continuano a chiedere - ha dichiarato ieri il governatore lombardo Attilio Fontana - come mai la Lombardia faccia pochi test diagnostici, visto che il commissario Arcuri ha dichiarato di averci inviato un numero ingente di tamponi. La risposta è semplice: insieme ai bastoncini si è scordato di mandare i reagenti, senza i quali è impossibile processare gli esami. In particolare, al 5 maggio, la Protezione civile nazionale ha mandato in Lombardia 323mila tamponi, 153mila provette e zero (zero) reagenti». La carenza non riguarda solo la Lombardia. Il governatore toscano Enrico Rossi, per esempio, ha fatto sapere che «si trovano tamponi a ogni angolo, anche al mercato di San Lorenzo a Firenze, ma è diventato difficilissimo cercare i reagenti: in tv dicono che bisogna aumentare i tamponi, ma non si può parlare di tamponi se non ci danno anche i reagenti».

Un po' come nel proverbiale detto per cui «il diavolo fa le pentole ma non i coperchi» quindi, la Protezione civile manda i bastoncini, ma non i reagenti. E se errare è umano, perseverare in queste carenze appare diabolico a tre dall'inizio dall'emergenza. Questa carenza l'ha riconosciuta anche Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, spiegandola come «un dato presente sul piano internazionale, perché un po' tutti i Paesi stanno facendo test di questo tipo e quindi la capacità produttiva ha delle sue limitazioni». «I tamponi senza reagenti sono soltanto bastoncini inutili» ha attaccato la presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, chiedendo per quale motivo il governo non si sia attivato per tempo, a gennaio, nei giorni in cui ha dichiarato lo stato d'emergenza, quando peraltro qualcuno cominciava a organizzarsi autonomamente. Un andamento a «macchia di leopardo» risulta dal report settimanale dell'Università Cattolica di Roma, secondo i cui dati il tasso settimanale più basso di test eseguiti si registra in Puglia (2,64 tamponi per 1000 abitanti) e quello più alto in Provincia di Trento (14,14) e poi in Veneto con 12,78 tamponi per 1.000 abitanti, mentre osservando il dato dall'inizio dell'epidemia risulta che a livello nazionale abbia eseguito il test solo il 2,59% della popolazione (con valore massimo in Veneto al 4,64% e minimo in Campania con l'0,84%).

Si conferma dunque, per l'ennesima volta, che ha fatto bene chi ha fatto da sé, senza ascoltare troppo il governo, spesso impreparato. Dell'ultimo «pasticcio» si è parlato ieri, e riguarda le mascherine. «C'è stato un pasticcio - parola del viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri - perché vi erano delle mascherine che dovevano essere in pronta consegna per un totale di 12 milioni, ma poi gran parte non lo erano. C'è stato un problema con i distributori, problema che il dottor Arcuri ha risolto». E non si sa se sia stato risolto il problema burocratico che ha bloccato i test sierologici fra, il governo, il Garante e la società americana Abbott, che si era aggiudicata la gara bandita dal Commissario Arcuri il 25 aprile. Un problema di privacy, quello di cui si parla da 4 giorni almeno, senza apparenti soluzioni.

E pensare che proprio il viceministro Sileri aveva fatto sapere che «non può esserci una Fase 2 completa e sicura se non vi è un largo uso di tamponi e di test sierologici».

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