La decisione del governo di nominare al nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica cinque consulenti, trapelata da alcune notizie di stampa, ha scatenato numerose polemiche e la realizzazione di un appello sottoscritto da 150 economisti contro gli esperti scelti da Draghi. Il motivo sono le posizioni economiche di Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Marco Percoco, Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro, giudicati troppo liberisti e noti «per il sostegno aprioristico ad una teoria che afferma l'inutilità, se non la dannosità, dell'intervento pubblico in economia» nonché rappresentanti di «posizioni antiscientifiche» che danneggerebbero «la credibilità del governo» sulla transizione ecologica. Inoltre, viene contestato il loro sesso (tutti uomini) e la provenienza geografica (tutti del nord Italia).
La presenza di donne e meridionali è senza dubbio importante ma, più che il sesso o la provenienza, dovrebbe interessare il curriculum e le competenze dei consulenti e, da questo punto di vista, i nomi indicati sono più che qualificati. Ciò non significa condividere tout court le loro posizioni, quanto constatare che, dopo centinaia di nomine nelle istituzioni di persone del tutto inadeguate e con curricula che definire imbarazzanti sarebbe un eufemismo, attaccare gli esperti scelti per il loro curriculum, è paradossale. Così come è paradossale l'accusa del vicesegretario del Pd Provenzano che si domanda se sia «opportuno chiamare degli ultras liberisti» per «coordinare e valutare la politica economica nella più grande stagione di investimenti pubblici». Provenzano si risponde da solo visto che stiamo vivendo uno dei momenti storici con il più importante investimento di risorse pubbliche ed è necessario vigilare che i fondi utilizzati abbiano una ricaduta sull'economia reale, generando crescita e non siano invece sperperati con politiche assistenzialiste care a una certa sinistra. Un approccio economico liberale che monitori le spese dello Stato è perciò auspicabile soprattutto perché i consulenti dovranno valutare l'impatto degli investimenti previsti dal Pnrr.
La polemica di questi giorni dovrebbe però indurre a una riflessione e a un mea culpa una parte del mondo liberista e liberale italiano essendo stato troppo impegnato negli ultimi anni ad attaccare la destra, i sovranisti, i conservatori e anche i liberali classici. Invece di cercare, pur nelle fisiologiche differenze, punti in comune con il centrodestra che si è sempre battuto per l'abbassamento delle tasse, l'aiuto alle imprese e contro la burocrazia, molti liberisti hanno preferito guardare a sinistra. Così, ora vengono attaccati da un'area politica che in Italia è a maggioranza statalista e assistenzialista e mal digerisce una visione dell'economia a favore del mercato e del mondo imprenditoriale.
Sì obietterà: neppure i sovranisti negli ultimi anni si sono distinti per posizioni economiche liberali, senza dubbio (anche se le cose stanno cambiando), ma ciò è dovuto anche al mondo liberale che, invece di offrire idee e proposte al centrodestra, ha spesso preferito attaccare Berlusconi, sbeffeggiare i «liberali per Salvini», snobbare la «destra romana della Meloni». Un atteggiamento non solo sbagliato ma controproducente soprattutto se l'alternativa è una sinistra la cui agenda economica si basa sull'aumento delle tasse e sull'ossessiva proposta della patrimoniale.
In tal
senso un approccio fusionista, come teorizzato da Frank Meyer, non solo sarebbe auspicabile ma corretto e aiuterebbe il centrodestra a portare avanti un'agenda ancor più orientata a politiche economiche di stampo liberale.
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