
Milano - «Quando si lavora al servizio della collettività spesso l'impegno non viene percepito proprio dalla stessa collettività. Per questo oggi (ieri per chi legge, ndr) qui a Milano, abbiamo voluto ricordare l'impegno professionale e il sacrificio massimo del commissario Luigi Calabresi in quegli anni, ma anche la sua percezione, vissuta fino in fondo, di essere solo. Se oggi il lavoro dei funzionari di polizia è parte fondamentale della collettività, lo dobbiamo proprio anche a Calabresi. Il suo è l'insegnamento di un uomo che continuò a lavorare e a impegnarsi nonostante le enormi difficoltà che stava vivendo. E non dobbiamo mai scordare l'altro grande insegnamento, quello scaturito della doppia tragedia vissuta da sua moglie Gemma. Una donna che da un lato ha dovuto accettare la perdita del compagno della sua esistenza e dall'altro la scomparsa di un uomo che purtroppo per molti anni a venire fu percepito come un aguzzino. Senza parlare poi della dignità di Gemma Capra, del rispetto di sé, quel suo non gridare mai per far valere le proprie ragioni... Anche per questo non dobbiamo mai avere uno sguardo assolutorio o indulgente nei confronti di quegli anni. Quando c'era chi combatteva una battaglia per la legalità e i valori storici e chi invece quei valori li voleva sovvertire. Credo che un certo revisionismo storico, un certo buonismo non dovrebbero mai divulgare in questo Paese, sarebbe un grave delitto verso quei sacrifici».
Prefetto Franco Gabrielli, capo della Polizia, la celebrazione del 46esimo anniversario dall'assassinio del commissario Luigi Calabresi è una occasione per parlare ancora una volta di sicurezza. Un poliziotto potrebbe essere un buon ministro dell'Interno?
«Io sono stato educato alla scuola nella quale i funzionari di polizia fanno i funzionari di polizia e i ministri, democraticamente, fanno i ministri. Quando il futuro ministro darà le sue indicazioni, i funzionari dello stato, io per primo, faranno quanto verrà indicato. Non mi piace mai parlare di intenzioni o di legittime opinioni, preferisco seguire le indicazioni e gli indirizzi dei ministri, anche se so che dal punto di vista mediatico può sembrare poco effervescente. L'autorità fondamentale di questo Paese è quella politica. L'autorità di pubblica sicurezza è il ministro dell'Interno, per fortuna democraticamente eletto».
Che pericoli ci sono per l'Italia sul fronte del terrorismo internazionale?
«Il terrorismo internazionale è un problema, ma non è il solo che affligge la nostra comunità. È singolare che ci sia una percezione così forte del terrorismo internazionale in un Paese come il nostro che finora, per mille motivi, non ha avuto problemi in questo senso. Molto più importanti da combattere, soprattutto con un'attività di prevenzione, in Italia sono la criminalità organizzata e la criminalità diffusa, che costituiscono la ragione per la quale i cittadini non sempre si sentono particolarmente sicuri. Da parte nostra c'è un impegno forte e determinato a prevenire atti di terrorismo, ma non vorrei mai che ci si dimenticasse che sul tema della sicurezza ci sono argomenti molto più impellenti e che incidono molto più significativamente del terrorismo».
Come può oggi un funzionario di polizia sentirsi solo, come lo fu allora Calabresi?
«Questa condizione per fortuna non è all'ordine del giorno, ma nella vita bisogna fare tesoro delle cose passate proprio perché non ritornino. Oggi c'è una condizione di partecipazione immensa, le forze di polizia sono considerate tra le più credibili e questo lo dobbiamo anche a chi quella battaglia l'ha combattuta in solitudine. Nel nostro Paese esiste un sistema plurale, ma ci sono due sintesi: una è l'autorità di pubblica sicurezza e una quella delle forze di polizia. Su questi due cardini si fondano collaborazioni e sintonia nel rispetto di ruoli, di funzioni e responsabilità (mi piace molto stressare il concetto di responsabilità) che in Italia hanno raggiunto livelli molto alti».
Ci spieghi.
«L'Italia ha un unicum mondiale, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo. Si fa un gran parlare della circolarizzazione delle informazioni. Ecco, dal 2004 il nostro Paese è l'unico al mondo ad aver realizzato plasticamente il livello di sintesi tra intelligence ed enforcement, poi convogliato rispetto alle autorità giudiziarie perché nel sistema Italia lo strumento attraverso il quale la magistratura svolge la funzione di giurisdizione avviene attraverso le forze di polizia. Questo è l'anello che congiunge il patrimonio informativo dell'intelligence agli approfondimenti dell'autorità giudiziaria».
Il suo sogno nel cassetto come capo della polizia?
«Desidererei che nel nostro Paese quelli della sicurezza fossero temi vissuti come temi comuni, non come motivi di scontro o schieramento».
Non è facile...
«E infatti è un sogno».