L'Ue ci accusa di nuovo: pagamenti troppo lenti

E alle imprese creditrici già in difficoltà il governo vuole togliere anche la liquidità dell'Iva

L'Ue ci accusa di nuovo: pagamenti troppo lenti

Lo Stato resta un cattivo pagatore e la Commissione europea ha riacceso quel faro che era stato spento quando i tempi di pagamento delle amministrazioni centrali e periferiche si erano effettivamente ridotti, grazie al recepimento di una direttiva di Bruxelles. Quella che stabilisce che il tempo tra l'emissione della fattura e il saldo debba essere di 30 giorni, 60 al massimo.

A segnalare un peggioramento nei tempi e condizioni capestro, come ai vecchi tempi, sono state alcune aziende, in particolare dell'edilizia. In questo settore circa l'85% delle imprese ha registrato un peggioramento della situazione. A riferirlo ieri è stato Il Sole24ore in un focus dedicato ai debiti Pa. La Commissaria europea Elzbieta Bienkowska ha chiesto all'Italia di chiarire il peggioramento nei tempi di pagamento e il permanere di ritardi «eccessivi».

Un parere motivato da parte dell'esecutivo europeo che rischia di trasformarsi in una procedura di infrazione, come quella evitata due anni fa. Il ministero dell'Economia è orientato rispondere offrendo dei dati medi di pagamento che rientrano nei limiti massimi di 60 giorni. E ricordando che dal 2013 in poi sono stati stanziati 43,7 miliardi di euro per ridurre lo stock.

Ma la risposta potrebbe non bastare. Il sospetto è che il governo stia stringendo i cordoni della borsa per evitare di fare lievitare il fabbisogno e quindi il debito pubblico. I pagamenti, anche se riguardano solo la cassa, rischiano di fare salire uno dei parametri - quello del debito, appunto - che l'Ue sta monitorando attentamente in vista del giudizio finale sui conti italiani, in aprile.

Il tutto, danneggiando le imprese. Uno dei capitoli fondamentali della manovra correttiva e probabilmente anche della prossima legge di bilancio, è lo split payment. Cioè il cambiamento del pagamento dell'Iva da parte delle amministrazioni pubbliche.

Invece di versarla alle aziende o ai privati che vendono beni e servizi, li girano direttamente al fisco. Per le aziende una fonte di liquidità che viene meno, decisa da un cliente che si ostina a non pagare. Un doppio smacco per dare respiro ai conti allo Stato, ma che rischia di mandare in rosso quelli dei contribuenti.

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