Guerra in Ucraina

Per l'Ue il gas è "una questione meridionale"

Quando mossero i loro primi passi, le istituzioni euro-comunitarie dovevano servire a favorire lo sviluppo industriale del continente, grazie anche a una migliore gestione dell'energia.

Per l'Ue il gas è "una questione meridionale"

Quando mossero i loro primi passi, le istituzioni euro-comunitarie dovevano servire a favorire lo sviluppo industriale del continente, grazie anche a una migliore gestione dell'energia. Da un certo punto di vista, si può dire che nel 1951, grazie alla Ceca; l'Europa sia nata in larga misura sul carbone. A dispetto dei toni diplomatici usati dai vari esponenti politici, le discussioni di questi ultimi giorni che hanno visto confrontarsi i leader dei maggiori Paesi ci dicono che sull'energia ogni governo europeo sta andando per la propria strada; e con ogni probabilità non potrebbe essere diversamente. Non c'è da stupirsi, insomma, se anche stavolta l'Europa è chiamata a fare i conti con interessi non sempre allineati. In particolare sembra chiaro che l'Italia di Mario Draghi punti a un nuovo rapporto con il «Cclub Med»: ossia con quel quartetto di Paesi che oltre a noi include Spagna, Portogallo e Grecia. Non si tratta soltanto di bilanciare gli attori più forti e prestigiosi del tavolo europeo, proponendo un tetto per il prezzo dell'energia (compresa l'elettricità che acquistiamo dalla Francia), ma anche di dare risposte che prendano atto che ci sono fattori geografici con cui bisogna per forza di cose fare i conti: si pensi, nel nostro caso, al complicato rapporto con l'Algeria. Negli anni passati avevamo puntato quasi tutto sul gas russo: perché certe strade ci erano precluse (l'ipotesi del nucleare, in particolare, è stata bloccata a seguito del referendum del 1987) e perché alla fine il prezzo risultava vantaggioso. Ovviamente, a quel beneficio immediato s'accompagnava un rischio geopolitico che altri hanno preferito non pagare, comprando una specie di «assicurazione» dinanzi all'incertezza delle decisioni di Mosca e più in generale alle perturbazioni internazionali. Adesso si deve cambiare prospettiva. Stringendo questo rapporto privilegiato con il Sud Europa, a Roma si sta prendendo atto che le istituzioni comunitarie sono ben poca cosa. Ci si sta accorgendo che l'Unione non esiste neppure quando si discute di petrolio oppure di gas, e probabilmente è bene che sia così. A dispetto dei proclami, infatti, il premier italiano sta provando a costruire con il quartetto del Mezzogiorno europeo una sua alternativa costruita su interessi condivisi e convergenti. Nel breve termine, per l'Italia l'idea è di puntare su navi per la rigassificazione in grado di utilizzare quanto gli Stati Uniti e altri potranno venderci, anche se il gas naturale liquefatto comporta prezzi alti. Oltre a ciò si pensa di migliorare i collegamenti che trasportano il gas tra Italia e Spagna: una questione che probabilmente non interessa l'Estonia o la Finlandia. Un tema, dunque, più nostro che «comunitario».

Perché, alla fine, i bei discorsi sul destino unico continentale e sullo spirito europeo sono una cosa, ma l'esigenza di rispondere ora e con efficacia ai problemi delle industrie e delle famiglie obbliga ad andare ben al di là della retorica e delle parole di circostanza.

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