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"L'Ue non saprà gestire l'ondata di migranti. Con Pechino il regime sfiderà l'Occidente"

Il politologo: "Governo inclusivo? È solo un'illusione del politicamente corretto. La sinistra mondiale smetta di dare credito agli islamisti"

"L'Ue non saprà gestire l'ondata di migranti. Con Pechino il regime sfiderà l'Occidente"

Alla vigilia del G7 sulla crisi afgana, Gilles Kepel, politologo e specialista di questioni legate al terrorismo internazionale, autore de Il Ritorno del Profeta. Perché il destino dell'Occidente si decide in Medio Oriente (Feltrinelli), invita l'Europa a interrogarsi sulla disfatta dell'Alleanza atlantica e sul ruolo «pragmatico» di Pechino che appare in vantaggio rispetto a «un'Ue sottomessa a ondate migratorie che non sarà in grado di controllare». A colloquio con Il Giornale dal Mem Summer Summit di Lugano, Kepel lancia il suo j'accuse.

Nella Kabul assediata vediamo banche chiuse e posti di blocco. A una settimana dalla conquista, quasi solo uomini per le strade. Si può credere ad annunci di governo «inclusivo» e più moderato?

«No, penso che sia l'illusione della political correctness della sinistra occidentale. Perché questi talebani di vent'anni che hanno preso il potere sono stati educati nelle madrase pakistane con la stessa ideologia di un tempo. La giovane età non significa niente. C'è un tendenza nella nostra intellighenzia di sinistra o estrema sinistra, in francese diciamo islamo-gauchisme, ad affidarci a dichiarazioni di islamisti e anche jihadisti, e considerare sempre colpevole l'Occidente. Tutto ciò perché l'America non aveva capito che cos'era l'Afghanistan in realtà».

I leader oggi trattano con Pechino. Cosa rischia l'Ue con una Via della Seta che include talebani: una via dell'oppio o una via del terrore?

«Forse sarà l'oppio afgano a distruggere l'impero di Xi Jinping... (ride, ndr). I sovietici e gli americani erano portatori di un'ideologia. I cinesi sono diversi. Comunisti, certo, ma con il capitalismo riservato ai dirigenti del partito. Il regime talebano per loro non è un problema, sfruttano gli uiguri ma son pronti ad appoggiare il nuovo corso afgano. E i talebani pronti ad accettare l'appoggio cinese per non soffrire dell'ostilità occidentale. L'ideologia non è più al posto di comando».

La bandiera nera dell'Isis non si vede a Kabul, ma gli Usa parlano di «reale» minaccia di attacco terroristico all'aeroporto. C'è il rischio che il ritiro americano e della Nato faccia dell'Afghanistan un rifugio per Daesh?

«I talebani non hanno interesse a dar asilo a un nuovo Osama bin-Laden, l'alleanza con la Cina è sufficiente. Sono sunniti radicali. Non internazionalisti, ma nazionalisti nel territorio. L'Isis non era radicata in Siria, fatta da inglesi, francesi, tedeschi con sete di vendetta in Europa. Per i talebani, l'Occidente è lontano e per loro conta mantenere il controllo del Paese ed esportare oppio in tutto il mondo».

Domani ci sarà il G7. Si parlerà dei profughi, ma Mosca ha detto di non volere «militanti travestiti da rifugiati» in Russia. C'è questo rischio?

«Sì, penso che sia il problema più importante. E vediamo che Paesi come Germania e Italia hanno rifiutato l'ipotesi di Macron di costruire una difesa europea diversa dalla Nato. Il problema è che oggi nella Nato abbiamo Erdogan che appoggia i talebani. Ha fatto il più grande applauso alla loro vittoria, vedendoci un appoggio alla sua voglia di essere leader dei sunniti».

Come se ne esce? Un esercito comune europeo?

«Per far funzionare la Nato oggi, come dar fiducia all'America? Cosa succederebbe se per esempio la Russia decidesse di imporre sanzioni alla Lettonia? Senza difesa europea, l'Europa è costretta a essere un continente passivo, sottomessa a ondate migratorie che non sarà in grado di controllare. Parliamo solo dei diritti dell'uomo e non del jihadismo. Una sfida anche per gli italiani. La Cina poi è la vera sfida. Le imprese che vogliono vendere a Pechino o alla Turchia porti e aeroporti sono interessate al breve termine.

Senza una presa di coscienza di continente, e una difesa da politiche straniere, siamo in gravissimo pericolo: affidare la nostra sicurezza in modo totale all'America sarebbe un suicidio».

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