Il primo tempo della partita tra Conte e Di Maio si chiude con un pareggio. Il ministro degli Esteri se la cava con una tiratina d'orecchie e neutralizza i falchi contiani, che spingevano, invece, per l'espulsione e le dimissioni dalla Farnesina. «Ma soprattutto - ragiona Di Maio con i suoi Conte è stato costretto alla retromarcia sulla risoluzione».
Inizialmente il capo politico dei Cinque stelle puntava a risoluzione grillina autonoma con il no a un nuovo invio d'armi. Ora inizia il secondo tempo della sfida Conte-Di Maio. Quello decisivo. Il ministro degli Esteri, che ieri prima del vertice in Lussemburgo ha avuto un chiarimento con il presidente del Consiglio Mario Draghi, inizia la sua fase di inabissamento. Fa l'offeso e affida al suo portavoce, Giuseppe Marici, la replica agli attacchi (ricevuti ieri mattina) dal presidente della Camera Roberto Fico. Una strategia che sarebbe stata concordata nel colloquio con il premier. La linea imposta da Palazzo Chigi è che il ministro non dovrà più trascinare la Farnesina nella polemica politica interna al Movimento. E dunque, d'ora in avanti Di Maio opterà per il silenzio. Affidando ai suoi uomini, già a partire da domani, quando si terrà l'assemblea dei gruppi, il compito di logorare Conte. È il portavoce Marici, e non il ministro, che risponde a Fico: «Stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, oggi hanno rivolto al ministro Di Maio, impegnato in questo momento a rappresentare l'Italia all'importante tavolo europeo del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, dove si sta discutendo della guerra in Ucraina. Il ministro Di Maio non replicherà a nessuno degli attacchi che sta ricevendo in queste ore. C'è un limite a tutto, ciononostante non si può indebolire il governo italiano davanti al mondo che ci osserva, in una fase così delicata».
Nel pomeriggio, dal Consiglio di garanzia del M5s arriva un nuovo attacco nella nota conclusiva diffusa con dodici ore di ritardo: «Le recenti dichiarazioni del ministro Di Maio riguardanti la linea di politica estera del Movimento 5 Stelle distorcono le chiare posizioni assunte. Queste dichiarazioni sono suscettibili di gettare grave discredito sull'intera comunità politica del M5S, senza fondamento alcuno».
Di Maio resta in silenzio e fa cadere nel vuoto l'affondo. Ora si ragiona sul futuro. Un passaggio di Di Maio nel Pd viene considerata un'ipotesi poco concreta dagli stessi parlamentari vicini al ministro degli Esteri. Passando nell'altra metà campo, lo scenario cambia. «Il divorzio tra Conte e Di Maio è inevitabile», rivela al Giornale un big contiano.
E tra i gruppi parlamentari crescono i malumori per il pressing quotidiano ricevuto dagli sherpa di Di Maio e Conte, che chiedono ai deputati di schierarsi da una parte o dall'altra. Le colombe grilline attribuiscono le colpe dello scontro ai cinque vice scelti da Conte: «Tutti falchi che non fanno altro che aumentare la tensione», spiega al Giornale un parlamentare del gruppo contiano.
L'atteggiamento guerrafondaio dei vice di Conte avrebbe stufato pure Alfonso Bonafede e l'ex sindaco di Torino Chiara Appendino,
quest'ultimi impegnati in una complicata mediazione. Altro problema: Paola Taverna. «Conte le ha promesso a la rielezione e ora non sa come liberarsi di un peso», ammette una fonte grillina. E il peso è proprio Paola Taverna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.