San Paolo - Lo aspettava a braccia aperte il segretario generale dell'Onu António Guterres in quel di Addis Abeba, la capitale dell'Etiopia dove oggi, dalle 15 alle 18, su invito dell'Unione Africana doveva parlare su come «vincere la fame nel mondo» a un evento, non ridete, tutto incentrato «su come combattere la corruzione». Invece Lula ha suo malgrado deluso le attese del vecchio amico portoghese Guterres - compagno di socialismo anche se non tanto come l'ex premier lusitano, ex carcerato ed inquisito, José Socrates - perché dopo la condanna a 12 anni e un mese di martedì per riciclaggio e corruzione, l'altroieri notte il giudice Ricardo Leite di Brasilia ha ordinato il ritiro del passaporto all'uomo che Barack Obama aveva definito «il miglior politico del mondo»: un acume obamiano invidiabile.
Ma torniamo a Lula che non è proprio riuscito a salire sull'aereo destinazione Africa, per poi defilarsi magari verso qualche Paese amico più radical chic dell'Etiopia in grado di offrirgli un rifugio all'altezza. Un fallimento dovuto non solo «ai fondati timori espressi da Leite nella sua ordinanza - di una probabile fuga all'estero» alla base del «ritiro del passaporto», ma anche per una circolare interna emessa dalla Polizia Federale affinché «dal 25 di gennaio» sino a data da destinarsi «ogni porto, aeroporto o confine di terra» del Brasile impedisca «la fuoriuscita del condannato».
Non fosse che per il momento non gli hanno ancora messo la cavigliera elettronica, oggi non ci sono altre differenze tra l'ex presidente del Brasile e Cesare Battisti, che proprio grazie a Lula non è mai stato estradato in Italia. A ben vedere, anzi, oggi Lula se la passa peggio perché, a differenza dell'italiano, rischia l'arresto da un momento all'altro. Soprattutto se, come fanno dal giorno della condanna in appello alcuni suoi compagni di partito - su tutti la presidente del Partito dei Lavoratori (Pt) Gleisi Hoffmann ed il senatore Lindbergh Farias (entrambi inquisiti) - continueranno gli inviti alla violenza verso una folla che sinora per fortuna non si è vista.
Minacciare di «mettere a ferro e fuoco il Paese» con discorsi eversivi che somigliano tanto a quelli dei gruppi chavisti più violenti controllati dal dittatore venezuelano Maduro - il solo leader latinoamericano col cubano Raúl Castro ad avere attaccato frontalmente la «giustizia fascista brasiliana» di certo non aiuta a frenare l'arresto di Lula.
Intanto l'unica certezza è che il 20 febbraio prossimo l'ex presidente dovrà difendersi dalle accuse di riciclaggio,
associazione criminale e traffico d'influenze in uno degli altri 6 processi che come una spada di Damocle incombono sulla sua testa, quello sull'acquisto sospetto di caccia dalla svedese Saab nell'ambito dell'operazione Zelotes.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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