La migliore narrazione della pantomima della Nota di aggiornamento del Def (che ieri sera non era stata ancora divulgata) è nelle parole di Luigi Di Maio durante il question time al Senato. «Il reddito di cittadinanza non dà un euro a chi sta sul divano», ha ribadito minacciando pene esemplari per chi non userà «moralmente» il sussidio. «Se imbrogliano, si beccano 6 anni di galera per dichiarazioni non conformi alla legge: ci sarà una serie di misure per contrastare i furbi».
Insomma, ancora il reddito di cittadinanza non esiste anche perché non si è vista una tabella, ma già sono pronte le manette in caso di eventuali dichiarazioni fraudolente dei beneficiari della nuova social card. L'unica certezza è che ieri il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ha inviato a Bruxelles la lettera di accompagnamento della Nota con la quale si modificano gli obiettivi di finanza pubblica. A fronte di un deficit/Pil previsto al 2,4% l'anno prossimo per poi scendere al 2,1% nel 2020 e all'1,8% nel 2021 si dovrebbe avere una crescita del prodotto interno lordo dell'1,5% nel 2019 e dell'1,6 e dell'1,4% rispettivamente nei due anni successivi.
Questi target, ancorché presentati dal titolare del Tesoro come pilastri di una manovra «coraggiosa e responsabile», spiegano perché tra il vicepremier Matteo Salvini e il suo omologo pentastellato per buona parte della giornata sia andato in scena un balletto di cifre tra superamento della legge Fornero con 7-8 miliardi e costo del reddito di cittadinanza stimato per un importo simile. Mettiamo da parte per un attimo il fatto che i due soci del governo si siano «fatti in casa» la propria Nota con le proprie tabelle e osserviamo la realtà di una riforma pensionistica in cui «quota 100» dovrebbe essere raggiungibile solo con 62 anni di età e 38 di contributi (niente uscita anticipata con 41 anni di anzianità e niente «quota 100» con soglia minima di 36 anni di contributi). A questi si aggiungono i circa 2 miliardi per la flat tax per pmi e professionisti e un miliardo per le assunzioni delle forze dell'ordine.
Se si aggiungono ai 20 miliardi del contratto, i 12,4 miliardi per il disinnesco delle clausole di salvaguardia, circa 4 miliardi del piano di investimenti pubblici, un miliardo per il Fondo sanitario nazionale, i soldi per i risparmiatori coinvolti nei crack e oltre 4 miliardi di maggior costo del debito causa innalzamento spread i conti cominciano a non tornare. L'asticella al 2,4% del deficit/Pil libera 42,5 miliardi circa di disavanzo. Di questi 14 miliardi sono già impegnati dall'andamento tendenziale del deficit. Senza copertura saranno tanto gli investimenti quanto il disinnesco delle clausole di salvaguardia e anche il maggior costo del debito. Si arriva così molto vicini a quota 30 miliardi.
Per realizzare il contratto resterebbero tra i 10 e i 13 miliardi con i restanti 7-10 miliardi che non possono esser trovati con la pace fiscale (3,5 miliardi la stima) in quanto entrata di natura non ricorrente. Dalla penalizzazione di banche e assicurazioni si sa già che dovrebbero arrivare un paio di miliardi. Della spending review si sa poco (3-4 miliardi) anche se ieri Di Maio ha detto che si taglieranno le spese militari e si rinegozieranno alcune gare Consip. Queste incognite rendono probabile il ricorso alla leva fiscale incerto l'avvio delle misure: il reddito di cittadinanza partirà forse a marzo, «quota 100» per Salvini inizierà a febbraio.
Poiché nel 2020 il deficit è visto 37 miliardi e a 32,5 miliardi nel 2021, i casi sono due: o si aumenteranno ancora le tasse cominciando dall'Iva (a meno di impennate del gettito) o si verrà meno a qualche promessa se non a tutte.
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