Per la prima volta, dopo mezzo secolo di bombe e di massacri, l'espressione «strage di Stato» esce dai comizi e dagli articoli di stampa, e diventa un pezzo di sentenza. Anzi: l'architrave della sentenza con cui un anno fa la Corte d'appello di Bologna ha chiuso il processo bis per la strage del 2 agosto 1980 infliggendo l'ergastolo a Gilberto Cavallini, estremista nero come i primi due condannati, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Sulla presenza di Cavallini a Bologna e sulle sue colpe, i giudici - nelle motivazioni depositate ieri - non nutrono dubbi. Ma la sentenza va ben più in là, a costo di criticare pesantemente gli altri magistrati che si sono occupati in passato della strage. E tira in ballo il fantasma del «Deep State», quello finora al centro delle teorie complottiste più ardite, «un insieme - scrivono - di organismi militari, economici, politici, associativi, più o meno legali, dalla contiguità più o meno sommersa, e trasversali, che condizionano in modo occulto le strategie di potere, servendosi degli organi rappresentativi come schermo». Il Deep State esiste davvero, ed è lì che vanno ricercate le responsabilità del massacro e delle sue coperture, dice la Corte d'appello. E conclude: «Il dilemma se la strage di Bologna sia stata una strage cosiddetta comune" o una strage cosiddetta politica non esiste. Non esiste in radice perché si è trattato di una strage politica, o più esattamente, di una strage di Stato».
La sentenza liquida come fantasie o verità di comodo tutte le altre piste ipotizzate finora, dalla teoria dell'esplosione accidentale a quella dell'attentato palestinese ipotizzato da Francesco Cossiga. I giudici non si fanno impressionare neanche dalla perizia che durante il processo d'appello era sembrata riaprire i giochi, la consulenza che parlava di un interruttore per tergicristalli trovato tra i detriti, e che rafforzava l'idea di uno scoppio non voluto, e che indicava nel terrorista rosso Ilic Ramirez Sanchez alias Carlos il protagonista di azioni condotte con la stessa tecnica. Archiviano il mistero dei resti di Maria Fresu, la giovane sarda di cui rimasero solo dei lembi di volto. E sono convinti che la presenza a Bologna a ridosso della strage dell'estremista rosso tedesco Thomas Kram nulla abbia a che fare con l'attentato: altrimenti, sarebbe «illogico» che si fosse registrato in albergo con il suo vero nome. Tutte le piste alternative, per le motivazioni avevano come obiettivo «negare la responsabilità di terroristi di destra italiani, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere».
Invece «Cavallini aveva concepito una vera e propria idolatria verso la figura di Adolf Hitler», e la scelta della data non sarebbe casuale: «il 2 agosto segna la fine della Repubblica di Weimar e la contestuale nascita ufficiale dello Stato assoluto e della figura del Fuhrer in capo ad Adolf Hitler». La bomba faceva parte di «un progetto destabilizzante che coinvolgeva alla radice lo Stato democratico, nell'ottica della riaffermazione di uno Stato autoritario che poteva costituire il primo passo verso la restaurazione di una forma di Stato tipo Reich». Come e perché pezzi delle istituzioni condividessero il progetto demenziale di un Reich italiano, i giudici non lo spiegano. Ma in un altro passaggio spiegano che tanto Cavallini che Mambro e Fioravanti furono lo strumento di una «regia altrui» non meglio precisata.
E se la prendono con i colleghi della Procura che «inopinatamente» avrebbero accreditato a Gilberto Cavallini un comportamento «spontaneista»: mentre, secondo loro, quella bomba di quarant'anni fa fu tutto tranne che «spontanea».
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