L'ultimo bluff di Donald. Dalla tregua di 15 giorni all'ok all'ultimo minuto

La decisione definitiva poco prima dei raid: così è nato il blitz americano. I media: "Iran avvisato"

L'ultimo bluff di Donald. Dalla tregua di 15 giorni all'ok all'ultimo minuto
00:00 00:00

Le ultime 72 ore consegnano ai biografi di Donald Trump e ai produttori del film che certamente verrà ricavato dall'"Operazione Martello di Mezzanotte" una sceneggiatura pressoché perfetta. Mentre il mondo aspettava lo scadere delle "due settimane massimo" concesse (apparentemente) dal presidente americano agli ayatollah di Teheran per tornare al tavolo del negoziato, la decisione finale era già presa. Anche se, ha raccontato alle tv Usa il vicepresidente JD Vance, Trump si era riservato "fino all'ultimo minuto" la possibilità di revocare ai bombardieri Usa l'ordine di "cancellare" i siti di Furdow, Natanz e Isfahar e con essi il programma nucleare iraniano. Venerdì, mentre il tycoon si accompagnava al boss di OpenAI Sam Altman - per inciso, nemico giurato di Elon Musk - sul green del suo golf club di Bedminster, in New Jersey, l'ultimatum lanciato a Teheran il giorno prima attraverso la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavit - "due settimane" - sembrava ancora valido.

Chi in quei momenti era vicino al presidente lo ha descritto come "rilassato". I B-2 Stealth, con il loro carico di "bunker buster" da 14 tonnellate sarebbero partiti poche ore dopo dalla loro base in Missouri. Alcuni, in volo verso est. Altri, verso il Pacifico, come manovra "diversiva". "Pochissime persone a Washington" sapevano cosa stava per accadere, ha spiegato domenica il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il generale Dan Caine. Le stesse persone che nei giorni precedenti, almeno dal vertice di Camp David di due domeniche fa, si erano convinte che Teheran non aveva alcuna intenzione di rinunciare al programma di arricchimento dell'uranio. Ancora di più, dopo l'inconcludente incontro di Ginevra con i leader europei e il tentativo fallito (Trump era disposto ad andare di persona) di incontrare in Turchia la leadership iraniana per un ultimo tentativo. Ventiquattro ore dopo la passeggiata golfistica con Altman, Trump era nella Situation Room della Casa Bianca. Una riunione già annunciata nel suo programma ufficiale.

Nei giorni precedenti la sua partecipazione mordi e fuggi al G7 canadese e in quelli successivi, il presidente aveva chiesto al suo team di garantirgli due cose: che l'attacco avrebbe messo fine al programma nucleare di Teheran; e che gli Usa non sarebbero stati trascinati in un'altra guerra mediorientale. Sul primo punto, il tycoon aveva avuto rassicurazioni unanimi. Sul secondo, no. È qui che Trump ha messo in gioco la sua "legacy" e la promessa elettorale - ribadita nel suo recente viaggio nel Golfo - di distanziarsi definitivamente dall'era dei Repubblicani neocon e dalla pretesa interventista di rimodellare la regione a immagine e somiglianza delle democrazie occidentali. Una promessa, tuttavia, che si era sempre accompagnata a un altro proposito: "L'Iran non avrà mai l'arma nucleare".

Prima che venisse dato l'ordine di sganciare le bombe e lanciare i missili Tomahawk, attraverso canali indiretti Washington informava Teheran dell'attacco: "Limitato agli impianti nucleari". Nel frattempo, rimaneva "costante" il coordinamento con Israele, anche se la missione era "guidata e condotta" dagli Stati Uniti.

A operazione conclusa, Trump emergeva nella notte dai sotterranei della Casa Bianca e annunciava alla nazione e al mondo lo "spettacolare successo militare", con un discorso insolitamente breve e sobrio. Breve, se non sobrio, era anche l'avvertimento lanciato agli ayatollah: "Accettate la pace o sarà una tragedia".

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica