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Quei fanatici anti Cavaliere: vogliono l'odio permanente

Non c'è niente da fare. Non vogliono deporre le armi. Non smetteranno mai o, quanto meno, ci proveranno. L'obiettivo è evidente: protrarre all'infinito l'antiberlusconismo anche in assenza di Berlusconi

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Non c'è niente da fare. Non vogliono deporre le armi. Non smetteranno mai o, quanto meno, ci proveranno. L'obiettivo è evidente: protrarre all'infinito l'antiberlusconismo anche in assenza di Berlusconi. Lo scopo di questa operazione si muove su due binari: uno politico e l'altro meramente personale. Dunque attaccare il Cavaliere e infangarne la memoria è, secondo una certa sinistra sempre più pigra ma anche sempre più minoritaria, il modo migliore per colpire il governo di Giorgia Meloni. E qui valgono tutte le teorie più bizzarre e creative, anche quelle che sfociano nella fantapolitica.

Il secondo scopo (ma non in ordine di importanza) è ancora più chiaro: mantenere comunque una minuscola, ma perpetua, rendita di posizione anche sulla pelle di un nemico morto. È la sempre valida teoria dell'odio permanente, applicata a tutti i più grandi nemici politici che i progressisti hanno incontrato sul loro cammino. Attacchi il tuo avversario, magari fai anche un po' il martire e possibilmente monetizzi la tua rabbia: una ricetta tanto funzionante quanto stucchevole.

Quindi vale tutto: tirare fuori le solite e spuntate accuse giudiziarie contro il fondatore di Forza Italia e dare corda a quella stampa internazionale che, senza capire un accidenti di quello che accade in Italia, continua a blaterare di frottole come il Bunga Bunga et similia.

Non a caso ad aprire, anzi riaprire, le macabre danze è stato il massimo sacerdote dell'antiberlusconismo sempiterno: Marco Travaglio che nel suo commento al funerale del cavaliere rigurgita tutte le antiche contumelie che utilizza da una ventina di anni a questa parte. E, in preda alle convulsioni dopo aver visto i massimi vertici della politica e dello Stato tra le panche del Duomo di Milano, riesce a prendersela persino con Sergio Mattarella che ha avuto l'ardire di partecipare all'ultimo saluto di un uomo che è stato tre volte presidente del Consiglio. Un vero scandalo, no? Poi, non volendo scivolare nel vilipendio del capo dello Stato, si accanisce contro Enrico Mentana - non certo un noto berlusconiano - colpevole di aver sostenuto che quello di Mattarella è un gesto di pacificazione.

Non per caso, uno dei pochi gesti di belligeranza lo ha fatto l'ex premier, vicinissimo al Fatto quotidiano , Giuseppe Conte che a differenza degli altri coinquilini di Palazzo Chigi non si è presentato a Milano. Una scelta politica e dunque legittima, ma che mette a fuoco benissimo lo spirito di una parte politica che non è disposta, nemmeno di fronte alla morte, a rendere l'onore delle armi.

Una parte sempre più striminzita, come ha dimostrato la piazza milanese di due giorni fa, il numero degli italiani che ha seguito le esequie in televisione e le milioni di interazioni social. Certo, restano le accuse violente e fuori dal tempo delle varie Rosy Bindi, i deliri sguaiati del solito Oliviero Toscani o qualche cretino che nascosto dietro una tastiera e un nickname continua a spargere odio in rete.

Ma, ne siamo convinti, nonostante tutti i tentativi che metteranno in atto, alla fine, quel che resta dell'antiberlusconismo che si crede eterno si schianterà contro il muro della storia.

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