
Compromessi? Nuovo metodo? Per ora c'è solo un volto. E tutt'altro che nuovo. Dunque la Francia non ha ancora un governo. E non è affatto certa di averlo a breve. Emmanuel Macron ha dato un'unica indicazione a Sébastien Lecornu, scegliendo lui come primo ministro a tempo di record: avere discussioni preventive con i partiti prima di formare un esecutivo da sottoporre all'Eliseo. Incluso un dialogo con il Rassemblement national.
Pressato dalle scadenze in vista del giudizio di Fitch il 12 settembre sulla Francia, dai morsi dei mercati e con una legge di bilancio da riscrivere e discutere da metà ottobre in Parlamento, Macron ha spinto sull'acceleratore per una soluzione rapida che riavvicini l'Esagono a scenari di stabilità. Ha optato per il fedelissimo Lecornu; già "scudo" politico di protezione ai tempi dei gilet gialli, ministro senza interruzione dal 2017, consigliere ombra, ma soprattutto uomo del dialogo. E con una fascinazione non secondaria - visto il momento storico - per Georges Pompidou, che da premier ebbe un ruolo chiave nel maggio francese, convincendo De Gaulle a sciogliere l'Assemblea nazionale e indire elezioni anticipate. Fu pure il politico che disse no alla repressione violenta della contestazione studentesca del '68. E oggi, con le piazze piene, a Macron un suo fan è parso il Mr. Wolf di Pulp Fiction.
Ore febbrili, ieri all'Eliseo. Costituzione alla mano, dopo l'ennesimo esperimento andato a vuoto con Bayrou, mille interrogativi: agire per interesse personale o per dovere? Spalle al muro, il presidente è stato persuaso a metà: muro del dialogo con i lepenisti al capolinea. Ma ha attinto ancora in "casa". I suoi consiglieri sapevano che tutte le carte nel mazzo di un presidente in crisi sono esaurite. E da giorni chi sussurra all'orecchio di Macron a ogni emergenza dal 2017, Nicolas Sarkozy, suggeriva di fatto di accettare una coabitazione. Invece, Macron ha scelto una via di mezzo. Un macroniano da mandare in avanscoperta per mediare sulla legge di bilancio. Ultima chance prima di spalancare le porte della supervisione internazionale. Dopo lo scioglimento dell'Assemblée e due premier andati in fumo, ancora un macroniano. Ma il più aperto a parlare con i lepenisti senza preclusioni. E accolto di buon grado dai Républicains, che avrebbero sbarrato la strada ai socialisti e a ogni profilo Ps.
Da rottamatore del collaudato bipolarismo a ostinato artigiano, Macron prova insomma a riparare una calzatura logora e non più in grado di far camminare la Francia sulle proprie gambe istituzionali, quello "zoccolo comune" su cui ha plasmato la presidenza bis: che a ogni elezione, locale o nazionale, ha visto ridimensionare il consenso del suo centro in favore delle ali estreme, tenute però lontane dal potere anche dopo l'esito elettorale dell'estate scorsa, quando un'Assemblea tripolare non ha offerto alcuna maggioranza assoluta, neppure con operazioni di bricolage. L'altra sera, dopo le dimissioni di Bayrou, l'ultimo blitz che la Costituzione permette al capo dello Stato, stiracchiandola in direzione ostinatamente contraria alla logica della coabitazione basata sugli esiti elettorali.
Ecco il quinto premier macroniano dal 2022, anno del bis all'Eliseo, il settimo dal 2017. Dovrà discutere con le forze politiche, per capire se avrà sostegno. Poi passare dal Parlamento. Insomma, ennesimo azzardo creativo col rischio salto nel buio. Pronto al dialogo costruttivo con il Rn. Già grande tessitore di incontri con Marine Le Pen ed altri lepenisti sull'aumento degli investimenti nella Difesa. Nome comunicato senza la tradizione uscita del segretario generale dell'Eliseo nel cortile.
E con i partiti, specie i socialisti snobbati da Macron, refrattari a uscire senza vantaggi politici da una crisi diventata forse permanente, tocca a un cultore della mission impossible come Lecornu far da traghettatore.