Aveva scoperto di essere indagata dai giornali, giusto un anno fa. Indagata e intercettata nella maxi-rete a strascico dell'inchiesta sui rapporti tra mondo della sanità campana e criminalità organizzata. Lei, Maria Triassi, docente universitaria e direttore del dipartimento di Sanità pubblica della «Federico II», oggi ricorda quasi sorridendo i dodici mesi di odissea giudiziaria. «Preferisco non commentare dice al Giornale , d'altronde che cosa si può dichiarare sul nulla? Era tutto nulla».
Il 14 giugno 2016, la prof apprende dai quotidiani che i pubblici ministeri della Procura partenopea John Henry Woodcock e Celeste Carrano la ritengono il punto di congiunzione di una triangolazione tra un componente di una commissione di gara per l'appalto per le pulizie nell'ospedale Santobono e i vertici dell'impresa Kuadra. Cimici e cellulari sotto controllo ipotizzano che la Triassi abbia chiesto l'assunzione di un suo conoscente in cambio di un suo interessamento per l'esito di un bando. Tutto falso. Tant'è che lo stesso Woodcock, davanti al giudice Livia De Gennaro, al momento della requisitoria ridimensiona l'ipotesi di reato: non più corruzione e rivelazione di segreto ma corruzione impropria o, tutt'al più, traffico di influenze. Con giudizio abbreviato quindi sulla scorta dei soli indizi raccolti nella fase delle indagini preliminari, senza dibattimento il gup decide per l'assoluzione completa perché «il fatto non sussiste».
La gara incriminata, risalente al 2014, è la scintilla investigativa che avvia la macchina degli approfondimenti. Approfondimenti che si ramificano su un terreno vastissimo di settori nel giro di pochi mesi. Da questo filone, infatti, trae spunto, seppur alla lontana, addirittura l'indagine su Alfredo Romeo, la Consip e Tiziano Renzi che è stata smembrata in parte e inviata per competenza a Roma. Insieme alla Triassi (sorella del pm Laura, che ha coordinato l'indagine su «Tempa Rossa» a Potenza) sono stati assolti altri tre imputati mentre i titolari dell'azienda Kuadra sono finiti a giudizio.
Lo scenario inquirente di fondo è che alcuni imprenditori abbiano dapprima manomesso le procedure di gara allungando mazzette e dispensando favori a commissari e consulenti, e siano poi scesi a patti con la cosca del boss Salvatore Lo Russo per poter lavorare senza particolari «difficoltà ambientali» negli ospedali cittadini. In alcuni casi addirittura prestando copertura alle attività della camorra. Stessa contestazione che, peraltro, la Procura di Napoli eleva all'immobiliarista Romeo, sott'inchiesta per concorso esterno mafioso per un appalto all'ospedale Cardarelli, il più grande del Sud Italia.
«Che cosa posso aggiungere sottolinea la Triassi su una storia che per me rappresentava il nulla più totale. Me n'ero addirittura dimenticata». «Non ho avuto ripercussioni professionali, la mia coscienza era tranquilla e ho continuato a fare il mio lavoro senza problemi.
Certo, ho dovuto attendere un anno per sentirmi dire quel che già sapevo; e cioè che ero innocente. L'avviso di garanzia? Non ricordo di averlo proprio ricevuto dopo esserne stata informata a mezzo stampa. Ma stiamo parlando, mi creda, di niente. Resta il nulla di questa vicenda».
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