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L'ultimo sussulto dei jihadisti in Siria Jobbar, scontro finale per liberare Damasco

Nel 2012 i ribelli stavano per vincere. Oggi vivono nei tunnel sotterranei

L'ultimo sussulto dei jihadisti in Siria  Jobbar, scontro finale per liberare Damasco

Qui a Damasco l'atmosfera è diversa rispetto a qualche anno fa. Quella che veniva considerata roccaforte della Siria baathista, impermeabile a qualsiasi ferita di guerra, è tornata di nuovo nel mirino dei jihadisti. A Damasco si combatte ancora. I colpi di mitragliatrice arrivano persino dalle fogne, dove si regolano i conti tra fazioni militari. Nell'ultima settimana il governo di Bashar Al Assad ha incassato colpi durissimi. Prima un doppio attentato suicida al Palazzo di Giustizia e in un ristorante a Rabweh che ha ucciso una cinquantina di persone ferendone più di 100, poi un'offensiva dei gruppi legati ad Al Qaida in periferia. Nella notte tra domenica 19 e lunedì 20 una colonna di autoblindati ha sfondato le difese dei governativi aprendo un varco in direzione del sobborgo di Abbasid Square.

Sottoterra, in tutto il Paese sono state costruite vere e proprie città che comunicano fra loro rifornendosi a vicenda di uomini, armi, munizioni, viveri e medicinali. È un sistema di alleanze complesso e in continua evoluzione che conserva la sua matrice qaidista. Il maggior nemico di Assad nella capitale è Tahrir Al Sham, che in febbraio ha firmato un patto con Fateh Al Sham (ex Jabhat Al Nusra) e Faylaq al-Rahman, formazione alleata al Free Syrian Army, ormai minoritaria, costretta a collaborare, per inconsistenza politica e militare, con i gruppi più radicali. La reazione del governo di Damasco è stata immediata. Nella capitale sono stati rinforzati i check point e chiuse al transito alcune strade che portano al centro storico. Oltre che dai kamikaze i pericoli provengono dalle autobombe. La contro-offensiva è stata impietosa: i Mig sfrecciano a ogni ora. Sostenuto dall'aviazione, l'esercito ha risposto anche via terra tra Jobbar e Al Kaboun (zona appena riconquistata dai gruppi terroristici). L'obiettivo è tagliare i due distretti per riformare due enclavi accerchiate e separate fra loro che non lascino la possibilità di una «profondità strategica» a Nord.

All'ospedale Youssef Al Asma dove proprio in questi giorni è in corso la missione dei medici italiani dell'Ong Emergenza Sorrisi in collaborazione con la comunità siriana in Italia, le ambulanze con i feriti di guerra, militari e civili, arrivano numerose. Provengono dal fronte settentrionale, dove i combattimenti corpo a corpo vengono seguiti dai rastrellamenti casa per casa. Dopo la diagnosi del danno provocato dal trauma i pazienti vengono portati in sala operatoria. Ala, 32 anni, attende il suo turno in uniforme, lo sguardo fiero, assistito dalle infermiere che gli fasciano la mano sporca di sangue. È stato colpito proprio a Jobbar. «Ho visto tutto. Ho visto i terroristi arrivare all'improvviso, farsi saltare in aria, erano centinaia e centinaia, non credevamo fossero così tanti, questi si moltiplicano, è evidente che siamo di fronte a un esercito di mercenari. Il giorno dopo abbiamo ritagliato in due l'area. Prendetemi il cellulare, vi mostro le foto dei loro cadaveri».

Sullo schermo dello smartphone si intravedono i corpi dei jihadisti, riconoscibili dalle lunghe barbe, distesi per terra mentre i soldati siriani calpestano i loro corpi. «Curatemi questa ferita alla mano il prima possibile, voglio tornare sul fronte a combattere - continua Ala - ci vorrà poco, guardate, muovo ancora il dito, quanto basta per premere sul grilletto del kalashnikov». Le autorità militari rimangono impassibili, fidando che i gruppi jihadisti vengano respinti se non annientati a breve. Gli attentati contro i civili nel cuore della capitale e lo sfondamento nel quartiere di Jobbar paiono il colpo di coda di un'organizzazione giunta al capolinea, sempre più in fase di arretramento nel resto del Paese (Aleppo, Palmira, Homs).

Lo scenario è infatti molto diverso rispetto alla battaglia di Damasco del luglio 2012. Allora i ribelli erano vicinissimi alla vittoria finale, ma non riuscirono a dare il colpo di grazia ad Assad. Il mancato appoggio popolare alla rivolta armata e l'imminente controffensiva dell'esercito regolare avevano confinato gli anti governativi nelle zone periferiche dove ora si consumano di nuovo gli scontri. Ma queste periferie rimangono isolate tra loro, prive di una profondità strategica e possono affidarsi unicamente ai tunnel sotterranei.

Un modo efficace per condurre la battaglia ma non sufficiente a vincere la guerra contro uno Stato organizzato politicamente e militarmente che resiste da sei anni alle barbarie dei gruppi jihadisti.

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