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"L'uomo che cade", dalle Twin Towers a Kabul

Che colore ha la disperazione? Sospettiamo l'azzurro implacabile di un cielo afghano, un oceano di aria annegare nel quale è preferibile che vivere nella caverna nero pece dell'oscurantismo

"L'uomo che cade", dalle Twin Towers a Kabul

Che colore ha la disperazione? Sospettiamo l'azzurro implacabile di un cielo afghano, un oceano di aria annegare nel quale è preferibile che vivere nella caverna nero pece dell'oscurantismo. È quello che devono essersi detto gli uomini che sono caduti dal C17 dell'US Air Force che rullava sulla pista dell'aeroporto di Kabul a cui si erano aggrappati pur non vivere più, di nuovo, ancora, nella capitale appena riconquistata dai talebani. Gli uomini - due quelli ripresi, ma tanti altri devono essercene stati - sono morti in forma di puntini impercettibili, talmente piccoli che nei video che si guardano in rete qualcuno li ha cerchiati di rosso, perché si vedessero. Ci sono morti così impercettibili che qualcuno deve metterci l'evidenziatore attorno perché esistano.

Quegli uomini hanno scelto di morire così. Perché è impossibile non sapessero che aggrappandosi alla carlinga di quel bestione color del metallo avrebbero partecipato a un gioco con un solo vincitore. Nemmeno un bambino ingenuo, nemmeno il campione olimpico di ottimismo - e l'Afghanistan non è un Paese dove esso sia disciplina molto praticata - potrebbe mai pensare di sopravvivere a un volo di ore aggrappati a un jet come a un tram di San Francisco, qui si va a ottocento chilometri all'ora e si toccano i 30mila piedi, dove fanno 50 grandi sotto zero e la pressione è quasi inesistente. Quegli uomini sono Icari sconsolati, che scelgono di disegnare la propria fine da stelle cadenti in un cielo terso come estremo gesto di protesta per essere nati nella parte sbagliata del mondo. Eppure talmenti pieni di voglia di vivere da essere disposti a morirne.

Non v'è chi non abbia - guardando quelle immagini precedute su ogni sito da un avviso che avrebbero potuto urtare un pubblico impressionabile - pensato al «falling man» dell'11 settembre di vent'anni fa, all'uomo che si gettò dalla Torre Nord in fiamme del World Trade Center e fu immortalato dal fotografo dell'AP Richard Drew in posa iconica: a testa in giù, la schiena dritta, parallela alle nervature verticale del grattacielo, una gamba piegata. Un'immagine potente, lo spot eterno dell'estrema dignità. Negli anni a quell'uomo, che ispirò anche un gelido romanzo di Don DeLillo (L'uomo che cade, del 2007) si cercò di dare un nome ma non ci si riuscì, perché le famiglie dei candidati rifiutarono una dopo l'altra di ammettere che un proprio caro avesse potuto suicidarsi, anche se si era trattato solo di scegliere da sé come accomiatarsi dal mondo infame.

Non c'è niente di più vitale, a volte, di morire.

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