L'uomo solo al comando non piace alla Boldrini: Renzi diventa un pericolo

La presidente della Camera critica il premier. Serracchiani: sia super partes

L'uomo solo al comando non piace alla Boldrini: Renzi diventa un pericolo

RomaSi lamenta e si duole, la sinistra Pd (con contorno di sindacati, grillini, destra sociale e Boldrini) contro il «colpo di mano» del governo sul Jobs Act. Che provoca anche uno scontro tra Laura Boldrini e il Pd renziano, che bacchetta l'interventismo loquace della presidente della Camera.

Il premier infatti - come per altro aveva fatto chiaramente capire alla vigilia del varo dei decreti delegati - ha interpretato alla lettera la previsione costituzionale sulle leggi delega, che definisce «obbligatorio ma non vincolante» il parere delle commissioni parlamentari sui contenuti dei decreti legislativi. E non si è fatto legare le mani da chi aveva tentato in Parlamento di reintrodurre l'articolo 18 per un vasto spettro di licenziamenti, da quelli disciplinari a quelli collettivi. Il Jobs Act è quindi stato varato nel testo che voleva Renzi, senza annacquamenti e marce indietro, e ora in molti lo accusano di oltraggio al Parlamento. A cominciare dalla sinistra del suo partito, naturalmente. E da chi si era assunto il ruolo di mediatore nel Pd e ora lo vede indebolito dal decisionismo renziano: è il caso del capogruppo Pd Roberto Speranza, che parla di «errore clamoroso e inspiegabile» del governo»; e di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro: «Quella sui licenziamenti collettivi era l'unica richiesta che il Pd aveva formulato all'unisono, Camera e Senato. Non tenerne conto significa che il governo se ne infischia del Parlamento».

Al coro delle lamentazioni si sono uniti in molti: «Non tenendo in alcun conto il parere delle commissioni Lavoro il governo ha nei fatti preso in giro il Parlamento, umiliando deputati e senatori che in queste settimane si sono impegnati per migliorare il testo», denunciano tre senatori della minoranza (Guerra, Pegorer e Fornaro). Stefano Fassina vede derive autoritarie e tecnocratiche all'orizzonte: «Renzi attua le riforme della Troika. Viene contraddetto il parere delle commissioni parlamentari e questo è molto grave sul piano democratico». L'immancabile Alfredo D'Attorre lamenta uno «schiaffo di Renzi ai gruppi parlamentari del Pd. Si dimostra che quando Renzi può procede indipendentemente dal consenso del proprio partito».

L'assemblea di Sinistra Dem, che raccoglie la minoranza anti-renziana del Pd e che si è riunita ieri a Roma, si è trasformata in uno sfogatoio contro il Jobs Act. «Il governo non ha ritenuto nemmeno di recepire le raccomandazioni nei pareri delle commissioni parlamentari», ha sintetizzato Gianni Cuperlo: «La sinistra italiana, nelle sue diverse declinazioni, non ha mai conosciuto un momento di così evidente distanza dai luoghi di potere, parlo del governo del paese».

Alla fine, al coro si è unita - con qualche prudenza, combattuta com'è tra la volontà di non inimicarsi troppo il premier e quella di ritagliarsi un ruolo a sinistra - anche Laura Boldrini: per la presidente della Camera «sarebbe stato opportuno tenere nel dovuto conto i pareri delle commissioni». Poi la stoccata indirizzata al premier, senza nominarlo, in difesa del ruolo dei corpi intermedi, sindacati in testa: «L'idea di avere un uomo solo al potere contro tutti e in barba a tutto non mi piace, perché non rispetta l'idea di democrazia». A stretto giro di posta, arriva brusca la replica renziana, affidata alla vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani, che bacchetta la Boldrini: «Spiace che la presidente della Camera che ricopre un ruolo terzo, di garanzia, si pronunci in questo modo sulle riforme portate avanti dal governo, sapendo bene che il parere delle Commissioni non è vincolante».

Sul fronte opposto si ringalluzisce Ncd, che cerca di attribuirsi il merito delle decisioni renziane: «Siamo noi l'argine contro posizioni conservatrici come quelle di Damiano o della Camusso», si esalta Angelino Alfano. Che chiede al premier un'intesa per restare in maggioranza fino a fine legislatura: «Noi siamo pronti a rinnovare il patto di governo fino al 2018».

Poi Alfano piazza una bandierina, sapendo che presto Ncd si troverà a fare i conti con le unioni civili sponsorizzate dal premier: «Dopo il Jobs Act vogliamo il Family Act. La famiglia per noi - tuona impetuoso - è una, quella composta da un uomo e una donna che fanno dei figli. La legge italiana non prevede altro». Finora.

Sul lavoro Renzi ha fatto più della destra, che ora

infatti festeggia

Si doveva tenere conto dei pareri contrari delle Commissioni

Sul lavoro c'è un atteggiamento di resistenza che non ha più motivo

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