M5s e Pd sull'orlo del baratro ora provano a cercare l'intesa

L'attacco della Lega sul Mes e il caso Open spaventano la maggioranza. Di Maio: serve compattezza e fedeltà

M5s e Pd sull'orlo del baratro ora provano a cercare l'intesa

«Rilancio» dell'azione di governo, e addirittura una «visione condivisa» del futuro. A sera, il leader Pd Nicola Zingaretti si mostra entusiasta delle rassicurazioni su un prossimo «rilancio» del governo arrivate dal Ghana per bocca del premier Conte. E annuncia che «il Pd è pronto!» alla bisogna.

In totale sintonia pare anche l'ineffabile Gigino Di Maio, che sempre ieri annunciava flautato un marmoreo «patto di governo», pronto da gennaio, nel quale saranno scolpite «le leggi da fare e anche entro quando le faremo», e lanciava tra le righe una supplica al suo partito, diviso da feroci guerre per bande sul modello della Chicago anni Trenta: «Se il Movimento Cinque stelle sarà compatto e unito anche il governo sarà compatto e unito e potrà durare tre anni». Il sottotesto del messaggio inviato ai miracolati parlamentari della Casaleggio è chiaro: se volete conservare lo stipendio e lo status, non fatemi la guerra. Altrimenti tornerete in mezzo a una strada pure voi.

E così, dopo aver leggiadramente danzato per settimane sull'orlo del baratro, lanciandosi accuse pesantissime tra alleati («Di Maio vuol far saltare il governo», dicevano 24 ore prima dal Nazareno; «Il Pd sta con Salvini e Berlusconi sulla prescrizione», giuravano i grillini), ieri da Palazzo Chigi e dintorni si è cercato di innestare la retromarcia. Da Accra, Conte ha annunciato di avere nientemeno che «delle idee» su come rimettere in carreggiata il suo trabiccolo governativo: «Abbiamo tanto da fare, ho già delle idee, le proporrò: non vedo l'ora che si approvi la manovra per poter rimanere tutti concentrati e ridare nuovo impulso e slancio all'azione di Governo», dice. Ci sono già «ventinove punti programmatici», non uno di meno, ma «quel che manca è un cronoprogramma». Lo stesso che Di Maio prevede per gennaio, una volta smaltiti i fumi dei brindisi di Capodanno. Poi il premier si spinge fino a promettere ardito che «l'azione di governo sarà concentrata a soddisfare gli italiani».

Da Roma Gigino Di Maio, lo stesso che all'una di notte di mercoledì aveva scatenato lo scontro coi Dem alzando il telefono per mettere il veto sulle nomine Rai, e mandando all'aria la trattativa condotta da giorni con il Pd dal grillino Spadafora, con la benedizione di Grillo, ora smentisce accoratamente i sospetti avanzati dal Nazareno e giura: «Io non voglio né far saltare il governo né indebolirlo, faccio appello a tutti per restare compatti».

A spaventare i soci di maggioranza c'è da un lato l'assalto propagandistico della Lega sul Mes, e dall'altro il caso Renzi. L'ordalia mediatico-giudiziaria che sta investendo la fondazione Open e l'ex premier ha dapprima eccitato gli spiriti animali grillini, reattivi a ogni tintinnio di manette. Ma, passato il primo entusiasmo (condiviso in parte anche nel Pd, dove si fregavano le mani per le disgrazie dell'ex segretario) si è fatta strada una grande paura: come reagirà Italia Viva, socio fondamentale del governo, alla persecuzione giudiziaria e alla pressione mediatica? «Dobbiamo stare molto attenti, il caso Renzi può avere conseguenze per tutti noi», sussurra un big grillino allarmato.

E non è un caso se Di Maio abbassa i toni della polemica e ridimensiona la richiesta di una commissione d'inchiesta sul finanziamento della politica: ma no, spiega, «la mia proposta non è certo mirata contro un leader o un partito», e «anche il M5s come è ovvio si sottoporrà» a un'eventuale indagine parlamentare. Alla fine dei conti, anche Gigino preferisce mangiare il panettone seduto comodo alla Farnesina.

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