Elezioni politiche 2022

M5s e rossoverdi lanciano il partito del non-lavoro

Conte: 36 ore settimanali. Poi aggiunge: "Sarà solo su base volontaria". Rifondazione lo supera: facciamo 32. Ma fu un flop già ai tempi di Bertinotti

M5s e rossoverdi lanciano il partito del non-lavoro: "Più tempo libero a parità di salario"

Nessuno ha avuto la geniale idea di candidarlo in Parlamento, ma il buffo sociologo da tv talk Domenico De Masi riesce lo stesso a ispirare con le sue bislacche idee i programmi da televendita del suo partito di riferimento, i Cinque Stelle, e dei suoi epigoni alleati col Pd.

«Lavorare meno, lavorare meglio» era lo slogan del De Masi, convinto teorico del fatto che la ricetta magica per sconfiggere la disoccupazione sia «la riduzione drastica dell'orario di lavoro». Il concetto, subito sposato da Giuseppe Conte e dalla lista cocomero di Fratoianni e Bonelli, è semplice: se chi lavora lavorasse meno (ma guadagnando uguale, non sia mai), chi non lavora potrebbe prendere il suo posto nelle ore non lavorate e guadagnare altrettanto. I conti, calcolatrice alla mano, sono presto fatti: «Riducendo l'orario di lavoro avremmo sei milioni di posti in più». Sei milioni, mica bruscolini. Strano che nessuno, tranne De Masi, ci abbia mai pensato. Ora però Conte e Fratoianni raccolgono entusiasti il testimone e ne fanno il primo punto della lista dei sogni elettorali per gonzi. «Si lavori solo 36 ore a settimana, a parità di salario».

In realtà, persino il non astutissimo Conte si rende conto che trattasi di una scemenza, già a suo tempo proposta - senza esito - dal radical-chic in cachemire Fausto Bertinotti. E così si arrampica sugli specchi quando gli si chiede come realizzare una simile Bengodi in un periodo di spaventosa crisi mondiale: «La nostra idea è di sperimentare questa norma nei settori a più alta componente tecnologica». Nessuna riduzione generalizzata, quindi: solo una «sperimentazione», e per di più di nicchia, e comunque «solo su base volontaria». Nel magico mondo contiano, dunque, ci sarà chi sceglierà di lavorare a tempo pieno mentre i suoi colleghi, con lo stesso compenso, lavoreranno quattro ore di meno. E in ogni caso, si affretta ad aggiungere, «non va fatto contro le imprese: ne discuteremo».

Fuffa purissima, insomma. Subito copiata da Sinistra italiana: «Pensiamo che sia arrivato il momento di ridurre l'orario di lavoro a parità di salario - annuncia Fratoianni - perchè questa proposta non è solo socialmente giusta, ma è l'unica in grado di incrociare il tema della riorganizzazione del lavoro col tema della transizione ecologica. C'è poco da fare: se vogliamo che il motore sia elettrico, vogliamo che il motore elettrico arrivi il prima possibile». Che c'entra? Boh.

Ma il duo Bonelli-Fratoianni e il prode Giuseppi hanno sottovalutato la concorrenza: passano poche ore, e vengono tutti scavalcati a sinistra dal leader di Rifondazione Comunista (esiste ancora, sì), tal Maurizio Acerbo. Che, come il classico imbonitore da fiera, supera in curva gli altri aspiranti conduttori di televendite e rilancia: ma quali 36 ore? «La proposta di Conte e Fratoianni è troppo generica. Io propongo la riduzione dell'orario di lavoro a trentadue ore», e crepi l'avarizia.

In queste ore, comunque, l'ottimo Fratoianni ha altro a cui pensare: deve difendere il proprio posto di lavoro. Già, perchè il suo collegio sicuro in quel di Pisa è proprio quello che è stato sottratto al professor Stefano Ceccanti, illustre costituzionalista. E una parte del Pd, soprattutto locale, spinge perchè venga restituito e Fratoianni si accontenti della candidatura proporzionale. A parità di salario. Ma da quell'orecchio, Fratoianni non ci vuol sentire: per essere eletto, la sua lista rosso-verde dovrebbe superare il quorum del 3%. E non è affatto sicuro che ce la possa fare. Perchè dunque lasciare il certo per l'incerto? Bisogna lavorare tutti, certo, ma soprattutto lavorare meglio.

E da eletti sicuri è certamente meglio.

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