Lo chiamerebbero contratto di governo per l'Italia, semmai M5s e Pd riuscissero a stipularlo, non alleanza o accordo. La differenza sfugge, eppure a fianco delle prove di dialogo che si stanno reiterando, più o meno ravvicinate, tra Dem e grillini, esiste già uno schema: è quello del Lazio. La Regione guidata da Nicola Zingaretti si sta presentando ai cittadini come laboratorio di un accordo pardon contratto tra Pd e M5S. E alla prova dei fatti già è stato prodotto qualche risultato.
Eppure le convergenze di dialogo tra il governatore e la capogruppo pentastellata, Roberta Lombardi, hanno un che di indigesto se analizzate all'interno di uno scenario più ampio. Nessuno dei due è legato alla cordata-leader del partito. Entrambi alla frangia più sinistrorsa. Come Zingaretti non ha mai del tutto condiviso le posizioni di Matteo Renzi così Lombardi non ha mai accettato le forzature di Di Maio, le ha semmai subite: prima fra tutte il supporto alla pupilla Virginia Raggi. Ecco perché l'esperimento, da tutte le angolazioni lo si guardi, rappresenta quel sassolino scomodo entrato nelle scarpe di entrambi i contraenti che, a ogni passo avanti si andrebbe a rivelare sempre più fastidioso.
Zingaretti e la sua maggioranza a priori sono messi come il partito di Luigi Di Maio: al primo mancano i numeri in consiglio, al secondo quelli nei due rami del parlamento. E così, senza troppi preamboli, Zingaretti s'è affidato alla stampella a 5 stelle supportata dalla Lombardi. È la stessa ex deputata M5S, ora consigliere regionale, a sbandierare l'importanza del «modello Lazio» da applicare al governo del Paese per avviare un fruttuoso dialogo. Ovvero quello stesso percorso che il presidente Zingaretti e la sua giunta Dem ha innescato dando vita a ben 16 nuove poltrone, a fronte delle 10 della consiliatura precedente: 12 commissioni consiliari permanenti, un comitato di legislazione, un altro per il Corecom e a un paio di commissioni speciali da spartire tra i nuovi sostenitori.
E allora quanto sarà conveniente per Di Maio seguire queste stesse orme? Roberta Lombardi appartiene alla frangia di Roberto Fico. Posizionata più a sinistra che mai. Ed ecco la prima sbandata che andrebbe a indebolire il candidato premier pentastellato. Ma non sarà l'unica. Così avverrà anche per i Dem. Se il Pd seguisse le manovre di Zingaretti si ritroverebbe ad allontanarsi inesorabilmente da quelle che sono state fino a poco tempo fa le posizioni della maggioranza del partito: quelle dell'ex segretario Matteo Renzi. Un'ennesima spaccatura che potrebbe far confluire nella trattativa in corso anche qualche rappresentante di Liberi e Uguali. Insomma un nuovo fronte sarebbe pronto a compattarsi: i pentastellati di sinistra del presidente della Camera, l'ala zingarettiana meno progressista e più nostalgica e, non ultimi perché no, Grasso e Boldrini che ci sperano alacremente. Altro che rispetto e rispondenza al voto degli italiani. Il rischio che si palesa all'orizzonte è quello di una reunion a sinistra che andrebbe a scalzare di fatto Di Maio, Renzi e i moderati piddini.
Uno sconquasso per i Cinquestelle che si ritroverebbero Fico come capo della cordata più influente all'interno del movimento e un ulteriore disordine all'interno del Pd che potrebbe presto fare i conti con la candidatura di Nicola Zingaretti a segretario.
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