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Macché libertà, col telelavoro la casa diventa una prigione

Macché libertà, col telelavoro la casa diventa una prigione

Ho un dubbio: che lo Smart Working si chiami così perché è claustrofobico come la city car, quella in cui se hai uno zaino e un sacchetto della spesa (vedete? Scrivo sacchetto e non busta. Cinque anni di Milano non passano invano) già non sai dove metterli. Io che lo sto provando da qualche giorno, non per scelta ma perché in quarantena, proprio non capisco questo entusiasmo per il telelavoro, che sembra essere l'unica cosa bella uscita da questa psicosi medievale in cui siamo precipitati.

Lavorare da casa non mi piace. Mi manca la compagnia, mi manca il vino stappato alle sette della sera e bevuto con i tarallini del distributore, mi mancano le litigate, le sigarette furtive nel balconcino, le battute che non fanno ridere del collega che si crede simpatico, quelle mie che invece fanno ridere ma le capisce solo uno, mi manca il disordine della mia scrivania (casa non è molto meglio, in verità). Mi mancano perfino i caffè alla macchinetta delle 18 con il mio collega e amico che mai alle 17,55 o alle 18,05, sempre alle 18 spaccate, accidenti a lui.

Certo, il mio è un lavoro particolare, che si nutre di scambi di idee, di chiacchiere; è un mestiere («il mestieraccio», lo chiamiamo tra vecchi cronisti) in cui bisogna annusare l'aria che tira, e con la mascherina asettica è più difficile, ma di certo non puoi farlo senza prendere il metrò, senza origliare i discorsi sul tram, senza guardarti in giro, ma sbirciando i siti e facendo qualche telefonata. Magari un commercialista è un commercialista ovunque. Un giornalista no.

Poi certo, io vivo da solo, nemmeno un gatto che vorrei tanto ma non ho cuore di lasciar solo durante i miei tanti viaggi. La mia vita è organizzata per l'altrove, la mia piccola casa attrezzata come uno spartano ostello, non l'ho mai pensata come una comfort zone (concetto che aborro). Lavorarci è un fatto emergenziale, una circostanza fortuita. Diventasse un'abitudine probabilmente impazzirei. Già oggi al quarto giorno di confino mi sento come Giovanna d'Arco con le sue voci celestiali. Come dite? È il postino?

Mi rendo anche conto che non tutti sono come me. C'è chi ha i figli da prendere a scuola e da portare a judo, le lavatrici da fare, chi ha un divano tanto comodo, chi preferisce vivere in tuta e pantofole. Così lo Smart Working è il sogno di molti.

Ma i sogni fanno presto a diventare un incubo, soprattutto quando sono estesi 60 metri quadri calpestabili.

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