Cronache

La macelleria in trincea. Eroi e vittime sacrificali: si moriva da innocenti.

"Un'esplosione fortissima ha fatto saltare in aria il ponte alle nostre spalle con i soldati che ancora lo attraversavano marciando sfiniti. Ho visto teste, gambe, braccia volare per aria. Ero solo una bambina"

La macelleria in trincea. Eroi e vittime sacrificali: si moriva da innocenti.

«Un'esplosione fortissima ha fatto saltare in aria il ponte alle nostre spalle con i soldati che ancora lo attraversavano marciando sfiniti. Ho visto teste, gambe, braccia volare per aria. Ero solo una bambina» raccontava sempre nonna Maria, che aveva vissuto la rotta di Caporetto. Sul Piave, civili e militari italiani in rotta, cercavano di passare il fiume incalzati dagli austriaci, che avevano sfondato grazie a giovani ufficiali come l'allora tenente Erwin Rommel. L'ultimo ponte sul Piave, secondo la nonna, era stato fatto saltare dagli italiani con i nostri soldati sopra. Un tassello dell'immane massacro della prima guerra mondiale.
Furiosi e inutili assalti alla baionetta, fuoco di macelleria con i cannoni, lanciafiamme e gas, ma anche corpo a corpo nell'ultima trincea con gli italiani a corto di munizioni che usano pure i sassi contro il nemico. Testimonianze e racconti terribili di soldati contadini, analfabeti e giovani borghesi o nobili al loro comando, che sapevano di andare incontro alla morte.
«Quella sera l'Ortigara era tutta in fiamme: i soldati erano confusi in una mischia furiosa e una terribile tempesta di ferro e fuoco» scrive Cesare Ermanno Bertini della furiosa battaglia del 25 giugno 1917. «A stento potemmo praticare i camminamenti passando sui corpi dei morti dei feriti e gli agonizzanti - racconta - le granate scoppiavano ogni dove e col loro fragore assordante ci facevano impazzire per il terrore!». Nel libro di memorie Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu sono terribili i racconti degli assalti alla baionetta con le prime file di uomini, che si lanciavano fuori dalle trincee falciati immediatamente. Per non parlare di un assalto disperato degli italiani che raggiungono, dopo un alto tributo di sangue, il caposaldo nemico. Si scatena il corpo a corpo a colpi di pugnale e di vanghe per scavare le trincee. A distanza così ravvicinata e con poche munizioni si combatte a morsi, urlando e tirandosi addosso le pietre del Carso. Sull'Ortigara «ad un tratto i sacchetti di terra sbranati dalle pallottole franano e noi si resta quasi allo scoperto. Ci sentiamo fischiare i proiettili sopra la testa». Giuseppe Bianchi, però, è un miracolato: «Una pallottola mi colpisce in pieno petto ma, forata una gibernetta, va a conficcarsi nei miei caricatori senza farli scoppiare ed io resto miracolosamente illeso».
La vera macelleria inizia con il fuoco di sbarramento dei pezzi d'artiglieria. Per un'offensiva tirano assieme anche un migliaio di bocche da fuoco di vario calibro. La notte diventa giorno e il bombardamento può durare giorni interi trasformando la vita in inferno. Interi reparti vengono spazzati via e dopo la mattanza si raccolgono i brandelli di carne appiccicati a quello che resta di trincee e rifugi. Le ferite delle schegge incandescenti sono orribili. «Ricordo sempre un povero fante che giunse senza un braccio e mostrava il moncherino sanguinante» racconta un soldato sulla linea di Lavarone. I barellieri, che non sparano un colpo, rischiano più degli altri e negli ospedali da campo si amputano gambe e braccia senza anestesia. Un vero inferno, che addirittura peggiora, quando si lanciano i gas e i soldati, che respirano a fatica, vengono finiti a colpi di mazza dal nemico che avanza nel girone dantesco.
I lanciafiamme sono l'incubo delle trincee e quando uno dei «rosticceri», come sono chiamati in gergo, viene catturato lo bruciano vivo.

Ufficiali d'altri tempi vanno all'assalto in alta uniforme con la sciabola sguainata al grido «Avanti Savoia!» e generali senza pietà lanciano al massacro migliaia di uomini in un solo, spesso inutile, assalto.

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