L'Assemblea nazionale in silenzio un minuto: c'è l'omaggio a Samuel Paty e il dito puntato del premier Jean Castex. «Il nemico è l'islamismo radicale, una minaccia permanente che può reclutare assassini anche tra i nostri compatrioti». I deputati in piedi, gli inquirenti al lavoro sui fatti: ieri hanno dato un volto e un nome alla matrice integralista che ha portato alla decapitazione del professore di storia. E la Francia a contare la 266esima vittima del «terrorismo islamista» dal 2015 a oggi.
Emmanuel Macron sceglie la banlieue di Bobigny per esprimersi 4 giorni dopo la barbara uccisione: «Abbiamo dato un nome al male». È lui a distribuire le prime (nuove) responsabilità: molti di quelli in custodia «hanno un'implicazione» nell'attacco, dice il presidente.
Ognuno dei 16 fermati, l'ultimo ieri, ha avuto un ruolo. Il giovane killer, ucciso, ha infatti lasciato dietro di sé una scia di contatti. Un meccanismo di «complicità» che va dallo scambio di messaggi WhatsApp con il padre di una studentessa (autore del primo «video-fatwa» contro il prof) a quelli con l'imam Abdelhakim Sefrioui che si era presentato a scuola per protestare (a sua volta autore di video contro Paty). I due uomini, ispiratori dell'esecuzione, diretti o indiretti, sono ancora in stato di fermo. Stando alle indagini, non ci sarebbe infatti Daesh nel telefono cellulare del 18enne, ma una radicalizzazione alla luce del sole d'estate. E una decisiva miccia islamica accesa dalle loro spiate social.
Abdullah Anzorov gli aveva annunciato la sua intenzione di «risolvere il problema a modo suo» nei contatti telefonici evidenziati dall'antiterrorismo: con il genitore della studentessa e con Sefrioui, il militante islamista nel mirino di Macron. «È direttamente implicato nell'attentato», dice il presidente. Per questo il consiglio dei ministri di oggi «chiuderà il collettivo filo-palestinese Cheick Yassine, l'associazione pro Hamas creata proprio da Sefrioui. «La nostra determinazione è completa». «Non si tratta di fare nuove dichiarazioni, i cittadini s'aspettano fatti. E si intensificheranno».
Già ad agosto il killer ragazzino avrebbe pubblicato in rete la messinscena di una decapitazione. Il suo account, aperto a luglio, è stato oggetto di due segnalazioni senza seguito alla piattaforma Pharos (l'organismo di analisi e controllo incrociato del ministero dell'Interno); anche se, in due messaggi, Anzorov promuoveva la jihad contro la Cina e in Afghanistan. Allo stato attuale della legge e della «moderazione» dei social network, i contenuti non giustificherebbero la chiusura dell'account.
Il 27 luglio, la Licra aveva pure segnalato post antisemiti. Tutti gli elementi dimostrerebbero infine la responsabilità della propaganda islamista sui social, su cui si scaglia con forza il governo. Specie dell'impatto dei video-fatwa. In aula, Castex ha dunque annunciato l'introduzione del reato di «messa in pericolo» per la diffusione di generalità altrui su Internet: nomi e indirizzi come quello di Paty. «Non possiamo rassegnarci ad assistere passivamente allo scatenarsi dell'odio sui social, il nemico è l'islam radicale, non ho paura di dirlo», insiste.
Da Bobigny per la riunione della cellula per la lotta contro l'islamismo (CLIR), Macron fa il punto sui primi risultati della rappresaglia contro le associazioni islamiche: partita lunedì all'alba, è proseguita ieri con la chiusura della moschea di Pantin. Le azioni «si intensificheranno», assicura. «Il male lo abbiamo nominato, la strategia l'ho spiegata. La volontà è completa».
In questa logica prevede un rimpasto alla guida dell'Osservatorio sulla laicità: l'organismo indipendente fa capo alla presidenza del Consiglio, ma sembra aver speso più energie per scovare islamofobia che non per difendere uno dei principi fondamentali della République.La coppia Jean-Louis Bianco/Nicolas Cadène, alla testa dell'organizzazione, non è ritenuta compatibile con la linea che Macron e Castex puntano a imprimere ai vertici dello Stato.
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