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Macron senza carisma, Le Pen non tranquillizza. La vera vittoria è quella delle forze anti-sistema

Il presidente uscente incerto e odiato dal popolo. La sfidante dà risposte troppo semplicistiche. Oltre metà del Paese ha scelto i movimenti populisti

Macron senza carisma, Le Pen non tranquillizza. La vera vittoria è quella delle forze anti-sistema

Un terremoto. Se ci si astrae un attimo dai due candidati che si sfideranno al secondo turno delle presidenziali, Emmanuel Macron e Marine Le Pen, fra loro separati da un distacco non significativo, e si dà un'occhiata al restante panorama elettorale ci si accorgerà che il voto ha spazzato via la Francia politica com'era sino al giorno prima e come per circa mezzo secolo era stata. Si sono liquefatti i repubblicani, sono praticamente scomparsi i socialisti. Al loro posto si sono insediate due realtà «anti sistema», anti istituzionali, che vedono a sinistra, meglio, all'estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon e la sua France Insoumise, quasi il 22% dei voti, e a destra, meglio all'estrema destra, Eric Zemmour e la sua Reconquête, 7%. Ciò vuol dire che, nel suo insieme, aggiungendo cioè i voti del Rassemblement National, antisistema per definizione, più di metà del corpo elettorale francese rientra in un'orbita che si potrebbe definire populista, se la si volesse demonizzare, protestataria, disillusa, scontenta della politica e delle ricette tradizionali qualora se ne voglia capire l'orientamento.

A tutto ciò va aggiunto, come logica conseguenza, un altro elemento non secondario, la fine del ralliement intorno ai valori repubblicani e contro il lepenismo, che ancora aveva retto al tempo del primo Macron. Oggi, in gran parte, e quindi di fatto, quello «sbarramento» non c'è più: non c'è più nel campo repubblicano della destra, perché quel campo ha smesso di esistere, sopravvive in modo ambiguo nel campo della sinistra perché Mélenchon è una sinistra radicale che nulla ha a che vedere con il cosiddetto socialismo repubblicano, e che ha visto Macron e i suoi cinque anni da presidente liberale e tecnocratico come «il nemico principale». Sicché l'invito di Mélenchon «a non votare Madame Le Pen» risuona più come un invito all'astensione e finisce così per essere una sorta di tana libera tutti.

Venuta meno in Francia, la «diabolizzazione» di Marine Le Pen resta però ben presente in Europa, meglio nelle cancellerie europee: viene presentata come Frexit, sulla falsariga inglese, un'uscita di fatto e magari anche di nome dall'Unione europea, con tutto quello che ne potrebbe derivare. In sostanza, Macron è un europeista convinto, la Le Pen no, ed è per giunta vicina a Putin, e la Francia e i francesi le debbono perciò sbarrare il passo. L'impressione è che le cancellerie non conoscano bene né la prima né i secondi. Varrà la pena ricordare che fu de Gaulle il teorico dell'Europa delle patrie, nonché il presidente che uscì dall'Alleanza atlantica e che si oppose all'ingresso del Regno Unito nel Mec. Fu l'allora ministero degli Esteri Dominique Villepin, dalla tribuna delle Nazioni Unite, a dire il no della Francia alla guerra in Irak. C'è insomma nell'Esagono un sentimento nazionale di sicuro molto più forte e molto più presente che nelle altre nazioni dell'Europa occidentale, nonché un anti americanismo per nulla trascurabile. La battaglia presidenziale, insomma, si giocherà sul terreno della politica interna, quello dei salari, del caro-vita, delle pensioni, della disoccupazione, della criminalità, dell'immigrazione; tutti temi a cui Bruxelles non sembra in grado di dare una risposta. Quanto al «putinismo», varrà la pena ricordare che anche in Francia gli accordi energetici e non solo stipulati con la Russia di Putin li hanno fatti i governi e non Marine Le Pen.

Questo lungo excursus, cui va aggiunto un forte astensionismo (26,31%), vuol dire che la strada per la rielezione di Macron non è così scontata. Rimane il favorito, ma che lo sia per i suoi meriti è discutibile. È riuscito a essere il presidente più odiato di Francia, più dello stesso Sarkozy, odiato soltanto dalla sinistra. Ha provato a fare la riforma delle pensioni e ha dovuto fare marcia indietro, con la carbon tax si è ritrovato i gilet gialli inferociti su e giù per la Francia; più in generale, anche quando si è mosso bene, minor disoccupazione, scuole aperte nonostante la pandemia, non ha mai dato l'impressione di essere in sintonia con il sentimento nazionale. Nonostante gli sforzi, gli manca quel carisma da «monarca repubblicano» che resta una delle condicio sine qua non per lasciare una traccia all'Eliseo. Se vuole vincere deve convincere e sporcarsi le mani, ammettere errori, spendersi nelle periferie come nella Francia profonda, ascoltare di più, pontificare di meno.

Il suo miglior alleato è, paradossalmente, proprio la Le Pen. Dal faccia a faccia tv di 5 anni fa lei uscì stritolata. Del resto, Le Pen paga lo scotto di tutti i leader d'opposizione, dare risposte semplici, e quindi semplicistiche, a problemi complessi. Non ha mai governato e questo nelle crisi porta spesso a preferire un male conosciuto a qualcosa di ignoto e che potrebbe rivelarsi ancora peggiore. Cinque anni fa era stata data politicamente per morta, e invece ha dimostrato di saper fare tesoro dei suoi sbagli e tornare in pista. Non è però sufficiente, e lei lo sa.

Deve tranquillizzare, non spaventare, e questo non le è ancora riuscito e non è detto che le riuscirà.

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