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Il Made in Italy sotto attacco. Vertice col ministro "no carne"

Le aziende chiedono garanzie a Cingolani: in ballo c'è l'etichettatura a semaforo dannosa per il nostro export

Il Made in Italy sotto attacco. Vertice col ministro "no carne"

L'associazione Carni sostenibili, Filiera Italia, Unaitalia (industria del pollame) e ora anche Coldiretti: il «consiglio per gli acquisti» contro la carne del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani sta provocando una sollevazione unanime dell'industria agroalimentare. Ma perché è bastata una frase sulla sostituzione delle «proteine animali con quelle vegetali», inserita, va detto, in un discorso molto più articolato, a sollevare tante preoccupazioni?

Il timore è di scoprirsi ancora una volta non abbastanza spalleggiati dal proprio governo in un periodo in cui il Made in Italy deve affrontare sfide giganti. La pandemia, sebbene meno di altri, ha colpito anche questo settore. E il nuovo corso dei rapporti Washington-Bruxelles fa tirare un sospiro di sollievo, visto che i dazi imposti da Trump per l'agroalimentare italiano valevano 500 milioni di euro l'anno, ma c'è in campo un'altra sfida europea che la filiera tricolore del cibo considera estremamente pericolosa: il Nutriscore.

Si tratta della cosiddetta «etichetta a semaforo» che valuta con un lettera e un colore corrispondente (dalla A, che corrisponde al verde, alla E per i cibi rossi) a ciascun prodotto alimentare in base a una serie di parametri nutritivi ma sulla base di un quantitativo fisso, 100 grammi o 100 millilitri, che non tiene conto del diverso peso di ciascun alimento all'interno di una dieta e finisce con il premiare cibi molto raffinati ed elaborati. L'esempio classico è la Coca Cola Zero, quella senza zucchero ma con dolcificanti e coloranti, che ha il bollino B, verdino, e il parmigiano, alimento presente in tutte le diete, marchiato con la E rosso fuoco. Un'etichetta efficace perché manda messaggi semplici. Troppo semplici per essere anche sensati, protestano molti produttori italiani e anche tanti nutrizionisti.

«Non ci sono cibi buoni o cattivi -dice al Giornale il presidente di Coldiretti Ettore Prandini- ma l'equilibrio nutrizionale va trovato tra i diversi alimenti consumati nella dieta giornaliera e non certo condannando lo specifico prodotto, come ci ha insegnato la dieta mediterranea». Eppure sul Nutriscore si va costruendo in Europa uno schieramento sempre più forte. Sei Paesi Ue, Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo (con il sostegno anche della Svizzera) hanno costituito un coordinamento che ha lo scopo di spingere Bruxelles ad adottare l'etichetta Nutriscore. In Italia si sono già levate alcune voci in appoggio all'etichetta a semaforo, ignorando che l'intera filiera agroalimentare italiana la ritiene un pericolo per l'economia del Paese. Il sostegno a questa battaglia fornito inizialmente da Matteo Salvini ha spinto alcune voci giornalistiche ossessionate dal capo della Lega a bollarla come «battaglia sovranista». Peccato che al fronte iniziale anti Nutriscore nato nel centrodestra si siano poi uniti anche ministri del governo Conte: Patuanelli, Speranza, Bellanova. Ecco perché ha sorpreso la sortita di Cingolani, cui Prandini fa presente che «quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di ambiente ma anche di persone impegnate, spesso da generazioni, il degrado e lo spopolamento». Cingolani, rispettando lo stile Draghi, vuol rispondere con i fatti. A metà ottobre incontrerà Prandini e gli altri attori della filiera per entrare nel merito.

Le aziende vorranno sapere dove va a parare la Transizione ecologica.

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