Il Pm Gratteri e il "dovere" di criticare la riforma in tv

"Ho sempre pensato che di fronte a riforme discutibili della giustizia il silenzio fosse complicità", dice Gratteri per spiegare cosa lo ha spinto a tuffarsi nell'agone

Il Pm Gratteri e il "dovere" di criticare la riforma in tv
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Verrebbe da dire: meno male che arriva Gratteri. Perché il ciclo di trasmissioni su La7 che dal prossimo autunno avrà per protagonista il procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri non costituiranno solo la novità assoluta di un magistrato tuttora in servizio promosso a conduttore televisivo, con buona pace dei doveri di riservatezza che si immaginavano connessi alla funzione giudiziaria. No, le "Lezioni di mafia" programmate sulla rete di Urbano Cairo si prefiggono un obiettivo ben più alto: rimediare al silenzio con cui la magistratura italiana ha risposto alla riforma della Giustizia voluta dal governo Meloni. Lo spiega ieri lo stesso Gratteri, in un'ampia intervista al Corriere della sera, ovvero al quotidiano dello stesso Cairo. "Ho sempre pensato che di fronte a riforme discutibili della giustizia il silenzio fosse complicità", dice Gratteri per spiegare cosa lo ha spinto a tuffarsi nell'agone.

Certo, ci sarebbe da obiettare che finora leggendo i giornali e guardando la televisione (compresa La7) di questo silenzio, di questa ignavia della magistratura di fronte ai piani dell'esecutivo non si vede traccia. L'Anm ha prodotto tonnellate di documenti, risoluzioni, comunicati, appelli; sono stati indetti convegni, scioperi, flash mob con coccarda sulla toga e Costituzione in pugno; sono state rilasciate una quantità incalcolabile di interviste da parte di colleghi passati e presenti di Gratteri in cui si evocavano dietro la riforma gli spettri di Gelli, Craxi, Berlusconi e quant'altri; sono stati prodotti video teatrali per rendere edotti gli italiani delle conseguenze nefaste della riforma. Insomma di tutto si può accusare la magistratura italiana tranne di avere sonnecchiato per ignavia o connivenza davanti alle manovre governative. Eppure per Gratteri il nemico da battere è il silenzio che sente solo lui, e che diventa la giustificazione per tuffarsi in prima serata.

"Il magistrato - gli chiede l'intervistatore - viene visto universalmente come molto riservato, lei ha deciso di avere invece una esposizione pubblica e mediatica, non si è mai pentito?". E il procuratore di Napoli spiega di non essersi pentito affatto e anzi rincara la dose, il nemico contro cui si batte non è solo il silenzio davanti alle riforme ma addirittura "un Paese che ha scelto di convivere con le mafie". Dice proprio così, "un Paese": non "un pezzo di Paese", non "certi ambienti", "qualche settore". Secondo Gratteri è un intero Paese, l'Italia, il suo, quello in cui è nato e che gli paga lo stipendio, ad avere deciso che con mafia e ndrangheta in fondo ci si può accomodare.

È questa l'architrave del Gratteri-pensiero, la convinzione - purtroppo sincera - di incarnare la faccia pulita di un'Italia per il resto corrotta e collusa; e se tale è la convinzione allora tutto diventa giusto e anzi doveroso, indossare la toga la mattina e il cerone davanti alle telecamere, stare a doppio

servizio tra l'aula e il teatro Palladium dove verranno registrate le prime quattro puntate di "Lezioni di mafie". Le prime, perché - spiega sempre Gratteri - l'obiettivo è andare avanti. Sempre per sconfiggere il silenzio

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