Due facce, due volti, addirittura due differenti modi di parlare. Simulatore per necessità e calcolo, astuto e accorto per nascita Aftab Farooq, il pakistano 26enne residente a Vaprio d'Adda, espulso lunedì scorso dall'Italia e rispedito a Islamabad per aver giurato fedeltà all'Isis, fuori dalle mura di casa era riuscito a ingannare quasi tutti. Con quella faccia un po' da patatone un po' da pirla, certe frasi raccolte dalle intercettazioni nei faldoni del nucleo informativo all'inizio e dal Ros di Milano poi per oltre un anno e mezzo di indagini - possono sembrare boutade di un tipo che ama spararle grosse. Nel 2009 capitano della Nazionale di cricket under 19, bevute di birra a go go, addirittura il volontariato con i disabili non s'era fatto mancare. «Era un bravissimo ragazzo, se solo la metà delle cose che ho letto è vera, allora vuol dire che è una persona del tutto diversa da quella che conoscevo - racconta Fabio Marabini, presidente del Kingsgrove club di Milano, la società sportiva del giovane pakistano -. Avevo conosciuto la moglie, che indossava il fazzoletto ma non aveva certo il niqab o il burqa».
Peccato che proprio il burqa, tra le quattro mura di casa, lui le voleva fare indossare e per convincerla la picchiava senza remissione, anche se ora la signora lo difende a spada tratta in tivù e piange. «Vuoi ammaliare i maschi, per questo ti vesti all'occidentale, sei una p...!» la insultava quel «buon ragazzo» del marito. E giù botte quando la poverina osava esprimere critiche sull'estremismo del consorte ormai diventato fanatico del Califfato. Deciso a diventare un foreign fighter, un combattente sul campo di battaglia siriano, a ogni costo al punto da progettare viaggi in Bosnia per cercare campi di addestramento, «sondare» il terreno con improvvise partenze per Istanbul, sempre online a «bombardarsi» di filmati dove il sangue e la violenza di questi terroristi abbondano anche per cinque ore al giorno. Senza capire che un foreign fighter per questi jihadisti altro non è che carne da macello. O forse comprendendolo, ma disposto ad avere il suo «momento di celebrità», seppur da morto. Visto che qui - senza amici e contatti, senza la volontà di integrarsi - restava sempre e solo un disadattato.
Un poveraccio impegnato in interminabili telefonate pur di confrontarsi con una vecchia amica ed escogitare il percorso migliore per raggiungere la Siria. Quindi, voilà, altrettanto intenso e concentrato nelle critiche durissime espresse con i colleghi della Decathlon di Basiano sulle stragi europee. Salvo poi inneggiare da solo ad Allah facendo quasi salti di gioia per le vittime di questa o quella strage europea. «Io ormai ho deciso, vado - dichiara serissimo alla moglie -. Devo fare attenzioni ai biglietti, vanno prenotati tutti andata e ritorno... Sai quanti ne hanno arrestati in per questa leggerezza? E poi gli alberghi... Devo riservare in più hotel. Tu? Finirai per accoppiarti con i miscredenti».
Forse il suo cambiamento si può notare dai numerosi timbri sul passaporto. Grande viaggiatore, dai modaioli Caraibi era passato due anni fa, al severo Iran: era il credo che avanzava. Poco dopo alla stazione dei carabinieri di Vaprio d'Adda arrivano segnalazioni: quel tipo ha qualcosa che non va. Gli investigatori del Ros ora sono convinti: «L'allontanamento di Aftab? Indispensabile. Si era troppo radicalizzato, era borderline. E visto che questo processo di radicalizzazione rischiava di andare per le lunghe e magari di tradursi in qualche atto concreto di terrorismo qui, in tempi emergenziali come questi si opta per l'espulsione».
Ha un bel dire lui, nel video che si è fatto sul volo di rimpatrio coatto per il Pakistan, che aveva lasciato a 13 anni, «Io non ho fatto nulla!».
Sul suo profilo Facebook - che chiudeva in momenti clou, cioè in occasione dell'arresto di altri aspiranti foreign fighter - un indirizzario con nomi che tolgono ogni dubbio: quello di Abderrahmane Khachia, del fratello «mito» Oussama Khachia, morto nei territori dell'Islamic State lo scorso inverno, di Ibdrahim Bledar, l'albanese di Pozzo d'Adda già rimpatriato dal Ros a marzo e anche quello di Maria Giulia Sergio. «Non li ha mai incontrati, mai visti di persona - spiegano i carabinieri - Ma la rete può tutto: il pericolo sta tutto lì».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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