Coronavirus

Una domanda sul virus: ​Di Maio va subito in tilt

I dispositivi sarebbero arrivati, ma a prezzi esorbitanti. Il ministro degli Esteri cade in confusione

Una domanda sul virus: ​Di Maio va subito in tilt

Sono segnali preoccupanti. Un gioco a cui ci ha ben preparati. Quel "dico-non dico" che in questi mesi di emergenza potrebbero essere letti come segni di vera e propria schizofrenia politica. Luigi Di Maio ne combina un’altra. In un’audizione davanti al Parlamento, il ministro degli Esteri, cade in contraddizione. In ballo ci sono milioni di euro. Soldi degli italiani per l’acquisto di mascherine dalla Cina.

Denaro che, stando ai fatti, sarebbe mal speso. Denaro che sarebbe stato utile per fronteggiare la ricostruzione qui nel sud dell’Europa. Quella fase due verso cui ci stiamo avvicinando in ordine sparso. Tra faide regionali e borbottii di dissenso. Il governo, mentre è impegnato a litigare nel suo interno, genera mostri. Fa brutte figure. Non ha un piano sanitario. Né economico (ancora non si è visto un euro vero alle imprese né l’ombra della cig), però ha decine di task force e (forse) un’app.

Dopo due mesi, il "modello italiano" consiste solo nella chiusura. Aspettando che il virus passi da sé. Mentre intorno a noi chi ha chiuso meno sta già riaprendo con risultati migliori dei nostri. Il governo e, in particolare Di Maio, negli ultimi tempi di lockdown si sarebbero spesi molto per l’Italia. Ed è quanto il ministro degli Esteri spiega all’aula semi deserta.

"Abbiamo concluso un contratto con la Cina per 180 milioni di mascherine. Ed è pronto un rinnovo 300 milioni di dispositivi di sicurezza". Dopo questa dichiarazione, Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d’Italia, fatica a mantenere la calma. Chiede spiegazioni. "Ministro - domanda Delmastro - si è speso in prima persona per firmare contratti internazionali? Che ruolo ha avuto per la partita da 209 milioni di euro?" Quesito legittimo. Già, perché, afferma Delmastro, le mascherine Ffp2 acquistate dalla Cina sono state pagate 1.50 l’una invece degli 80 centesimi di una settimana prima dell’inizio della pandemia.

A questo punto l’imbarazzo di Di Maio è evidente. E con ostentata sicurezza risponde: "Voglio precisare una cosa: noi non firmiamo contratti". A questo punto qualcosa si rompe. Nessuna risposta.

È una storia stramba questa. Una storia che circola da settimane, ma che è sempre rimasta nell’ombra. Sottotraccia. Quella del prezzo folle a cui abbiamo comprato mascherine da Pechino. L’orrenda figura del leader pentastellato è clamorosa. Nella medesima audizione, prima afferma di aver firmato contratti per le mascherine, poi, contestato sull’importo, fa sapere di non aver mai firmato contratti. Quale dei due Di Maio sarà quello vero?

"Dell’affare mascherine", portato avanti dall’ex capo politico del Movimento 5 Stelle abbiamo parlato spesso. È la stessa persona che, con grande lungimiranza, alla vigilia dell’emergenza, inviò in Cina come dono migliaia di dispositivi. Poi, scoppiata l’epidemia qui in Italia, li fece tornare indietro. Sì, ma a pagamento! Si scoprì che li pagò il triplo di quanto valevano prima dell’esplosione dell’emergenza. Certo, la Cina in questo c’entra poco. Non ha responsabilità. Anzi, l’ex Impero Celeste ha provveduto, sempre secondo Di Maio, a fornirci importanti aiuti in queste settimane.

Tra gli aiuti più consistenti: due milioni di mascherine e 2mila kit all’Ue che quest’ultima ha deciso di deviare in Italia. Ulteriori 100mila mascherine, 500mila guanti, mille test, 50mila tute. A questi vanno aggiunte donazioni di amministrazioni ed enti locali: due milioni di mascherine, 61 ventilatori. Dai privati: cinque milioni di mascherine e 96 ventilatori. Pechino insomma non avrebbe colpe. L’imbarazzo, se mai, è tutto per il governo italiano. E per il suo ministro degli Esteri che non ricorda nemmeno se abbia firmato o meno un contratto milionario con un Paese straniero.

In tempo di guerra.

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