La scena rende meglio di tutto la situazione dei rapporti nel governo: Luigi Di Maio che si precipita verso l'uscita laterale di Palazzo Mezzanotte e si infila nel van con i vetri oscurati dove rimane chiuso alcuni minuti prima di dileguarsi. Nello stesso momento, a pochi metri di distanza, entra dall'ingresso principale Matteo Salvini che si intrattiene con la stampa prima di raggiungere il palco dell'assemblea nazionale di Confagricoltura guidata da Massimiliano Giansanti. I due vicepremier non si incrociano neppure per sbaglio. Di più, si direbbe che si evitino accuratamente. Il clima è questo, gelido, avversari che si ritrovano alleati. «L'altro vicepremier», «il ministro dell'Interno», fa fatica pure a pronunciare il nome di Salvini il ministro grillino, che ormai interpreta il ruolo del leader moderato e onesto mentre la Lega invita a sforare il deficit, ha per amici gli estremisti di destra, i sindaci (Legnano) in arresto per corruzione e gli ex sottosegretari (Siri) indagati.
Deriva a destra, nuova Tangentopoli, irresponsabilità sul deficit, volontà di «spaccare l'Italia in due» con l'autonomia e di favorire i ricchi con la flat tax, ecco i punti su cui Di Maio martella l'alleato. Ma ogni legnata è accompagnata da un ramoscello d'ulivo per far veder che è colpa dei leghisti se si litiga, non del leader M5s che infatti promette che il governo «andrà avanti quattro anni». «Ci vuole una pace politica, non è possibile continuare così, non voglio rispondere a provocazioni da qui al 26 maggio» dice tendendo la mano. Per poi subito usarla come randello: «Quando si parla di ultra destra a livello europeo bisogna essere giustamente preoccupati, non solo per una deriva ideologica di cui non sentivamo proprio la mancanza in Italia. Queste ultra destre europee sono quelle che in questi anni hanno chiesto all'Italia l'austerity sono quelle che in questi anni hanno obbligato l'Italia a diventare il campi profughi d'Europa» rinfaccia Di Maio al leader leghista che va a braccetto con Orban, Marine Le Pen e il FPÖ austriaco.
Anche sull'euro il giochino è quello. Salvini dice che rimpiange «l'Europa pre-Maastricht», quella senza moneta unica? E Di Maio prende subito le distanze («Chiedete a lui cosa significhi»), vestendo i panni dell'euro-responsabile: «Dobbiamo stare nell'euro», anche se un anno fa voleva un referendum per uscirne. Salvini dice che «sforare il 3% non solo si può, si deve»? Di Maio lo bacchetta come incosciente: «Il rapporto debito/Pil al 140% nessuno lo vuole, perché sarebbe come scaricare un peso sulle nuove generazioni che non vogliamo scaricare». Davanti agli imprenditori agricoli Di Maio fa capire che spazio per la flat tax leghista non ce n'è, allo studio c'è solo una riduzione «selettiva» del cuneo fiscale «per chi investe in produttività» e poi una tassa europea per i colossi (Google, Facebook, Amazon) che pagano imposte irrisorie. Ma zero shock fiscale di cui parla Salvini. Sulle retate lombarde sfotte Salvini che vede manovre dei poteri forti: «La questione della corruzione non è un attacco dei poteri forti. C'è un sistema politico che va contrastato con l'intransigenza, non si può pretendere di avere indagati per corruzione nel governo» dice riferendosi al leghista Siri. Come ulteriore atto nel riposizionamento a sinistra in chiave antileghista, Di Maio fa pure una telefonata alla professoressa sospesa per il parallelo tra Salvini e Mussolini («Farò di tutto perchè lei venga reintegrata il prima possibile»). Il braccio di ferro si sposta sul prossimo Cdm, in cui il vicepremier leghista vuole inserire il «decreto sicurezza bis» inviso al M5s.
Di Maio infatti lo esclude: «Mi auguro che lunedì ci sia il Cdm. Bisogna rispettare le priorità: salario minimo, il decreto famiglie, per me va tutto bene a patto si rispettino priorità. Poi per me con la Lega si va d'amore e d'accordo».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.