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Di Maio kamikaze per il Sì processa i dissidenti M5s

Il ministro si gioca tutto col referendum sui tagli, tanto da snobbare le regionali. Deferiti cinque parlamentari

Di Maio kamikaze per il Sì processa i dissidenti M5s

S ì al tour per il referendum taglia-parlamentari, no alla campagna elettorale per le regionali. In attesa degli Stati Generali, previsti all'inizio di ottobre salvo rinvii, il M5s ha scelto di incanalare tutte le sue energie residue nella battaglia contro la «casta», l'ultima bandiera rimasta ancora in piedi in un processo di mutazione genetica che ha portato i grillini a certificare la possibilità di allearsi dappertutto con il Pd.

E nel plot di fine estate le prossime elezioni in sette regioni italiane rappresentano soltanto un incidente di percorso. Tocca concentrarsi sulla disputa più facile da vincere, almeno stando sulla carta. Ed ecco che allora l'ex capo politico dismette i panni di ministro degli Esteri per indossare la cravatta più sbarazzina dell'arruffapopolo.

Parte dalla sua Campania il periplo del ragazzo di Pomigliano che vuole apparire come l'uomo del Sì. Da Casavatore, provincia di Napoli, si mostra sprezzante nei confronti delle ragioni degli avversari referendari. «Nessuno mi venga a parlare di democrazia o di rappresentatività - arringa - tutti i cittadini che sto incontrando mi dicono che voteranno sì». A chi gli chiede se il tour sia il primo passo per una ricandidatura alla guida del Movimento risponde: «Mi interessano i problemi che riguardano i cittadini e le famiglie e agli italiani non interessano le dinamiche di partito».

Eppure la sbornia sulla sforbiciata di deputati e senatori sta facendo discutere all'interno dei Cinque Stelle. Gli amici di Di Maio disegnano scenari fatti di pacificazioni tramite una task force «collegiale» eletta al vertice dei grillini in rappresentanza di tutte le correnti. Un direttorio dopo il Terrore, forse un politburo sovietico. Fuori dal gioco dell'accordo tra i dimaiani e i contiani filo-Pd si muovono gli scudieri di Alessandro Di Battista, leali nei confronti del guru Davide Casaleggio. Barbara Lezzi, ex ministro gialloverde per il Sud, ribadisce la linea in un'intervista al Corriere della Sera. Su Casaleggio dice: «Lealtà e riconoscenza per me sono ancora dei valori». E su Dibba come leader del futuro: «Ne sarebbe senz'altro all'altezza».

La battaglia referendaria si incrocia pericolosamente con le eterne questioni irrisolte nel gruppone parlamentare. Nonostante fosse stata decisa una sorta di moratoria sulle espulsioni, per paura di nuove fughe alla Camera e soprattutto al Senato, sul tavolo dei probiviri sono finiti cinque nomi. Si tratta dei deputati Andrea Colletti, Mara Lapia, Elisa Siragusa e Andrea Vallascas e dell'europarlamentare Marco Zullo.

Sono gli eletti grillini che hanno espresso il loro No al referendum sul taglio dei parlamentari. I vertici temono l'escalation di uscite pubbliche contro la linea del partito e pensano a sanzioni per dare l'esempio. E però tra i peones cova l'insofferenza per una legge che renderebbe impossibile la rielezione e altamente improbabile la ricandidatura. Una vera strage di parlamentari se combinata con la deroga tombale alla regola del no al terzo mandato.

Così alcuni scontenti pensano di tenersi almeno il malloppo delle restituzioni uscendo dal M5s. Un deputato grillino spiega la tentazione al Giornale: «Con il Sì al taglio la legislatura arriverà alla fine e per tutti noi sarà difficile trovare un posto in lista tra tre anni».

Da qui l'idea geniale: «Molti potrebbero pensare di risparmiare i soldi delle restituzioni e andare nel Misto». La cifra che si terrebbero in tasca equivale a circa 70mila euro a testa senza restituire fino al 2023. Infine l'ultimo motivo di discordia. Gli eletti sono disturbati dal disinteresse dei maggiorenti per le regionali.

E alcuni dicono: «I cosiddetti big vogliono aiutare il Pd ma noi non sappiamo come spiegarlo sul territorio».

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